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Dalle baby squillo alle ragazze doccia, sesso nei bagni della scuola in cambio di soldi e regali

Parallelamente allo scandalo delle baby squillo romane ecco scoppiare a Milano il caso delle “ragazze doccia”. Si tratta di un fenomeno scolastico, rivelato dal Coriere della Sera, che coinvolgerebbe ragazze dai 14 ai 16 anni, che scelgono di prostituirsi in cambio di regali.
RAGAZZE DOCCIA Il nome, “ragazze doccia”, deriva da un semplice accostamento: come una doccia al giorno loro fanno sesso tutti i giorni. I fatti avvengono nei bagni delle scuole in cambio di oggetti e sono stati scoperti da un equipe di professori guidata dal prof. Luca Bernardo, diretto del reparto di pediatria del Farebenefratelli del capoluogo lombardo.
BUONA FAMIGLIA Il profilo delle “giovani prostituite” sarebbe quello di ragazze di buona famiglia, per la maggior parte iscritte a scuole private, in cerca di divertimento più che per reale necessità.
SMARTPHONE Un movimento che nasce in classe attraverso l’uso degli smartphone. Vengono inviati addirittura i “menù” delle prestazioni con le richieste sessuali e gli orari per l’appuntamento nel bagno. La scelta del compagno di avventura dipende da ciò che possono richiedere in cambio. “Ad oggi – spiega il professore a Corriere.it – abbiamo individuato otto ragazze, ma ci risulta che il fenomeno sia molto più esteso”.
FENOMENO IN ESPANSIONE Le ragazze si vendono anche a più persone nell’ambito di una giornata. Ma il professor Bernardo, che spiega come sia stato difficile ottenere una confessione da queste ragazze, estrapolata all’interno di problematiche parallele come droga e bullismo, va oltre. “Non posso pensare che in questi ambienti non girino anche soldi – dice – Inoltre sembra che ora ci siano dei ragazzi, dai diciassette anni in su che fanno da procacciatori di clienti e il timore è che nel giro, già molto preoccupante, stiano entrando anche dei clienti adulti”. Source: ilmessaggero
[sc:BR]
Le ragazze-doccia, prostitute tra i banchi di scuola
A Milano un Pm apre l’indagine
Dopo l’intervista al Corriere scatta l’indagine. Scrive oggi Libero che Monica Frediani, procuratore capo del tribunale dei minorenni, ha aperto un’indagine sulle dichiarazioni di Luca Bernardo, pediatra al Fatebenefratelli:
Ieri la procura ha infatti aperto un fascicolo per le dichiarazioni rilasciate dal direttore del reparto di Pediatria dell’ospedale Fatebenefratelli, Luca Bernardo, in un’intervista al “Corriere”. Il dottore aveva parlato di ragazzine che nel 2009 si sarebbero prostituite a scuola con compagni di classe offrendo un vero menù di prestazioni in cambio di ricariche telefoniche, cellulari, e altro. La aveva definite “ragazze-doccia”, un’espressione emersa durante gli incontri con le otto adolescenti durante il percorso di assistenza con l’équipe di Bernardo, che parla di molti altri casi in corso.
Perché ragazze-doccia?
«La definizione fa riferimento alla quotidianità dei rapporti. Il sesso è un rito giornaliero, come la doccia – spiega il direttore – I maschietti- clienti vengono scelti in base a ciò che possono dare in cambio alle ragazze. Durante le lezioni delle prime ore sui telefonini gira il menù conprestazioni, richieste e orari per gli appuntamenti nei bagni, dove avvengono i rapporti sessuali. Le ragazze offrono le loro prestazioni anche a più persone. Per loro è una specie di gioco, un gioco molto pericoloso nel quale pensano di dominare e irretire i loro clienti». Source: giornalettismo
[sc:BR]
Chi sono i “baby-clienti”?
Se esistono le “baby-prostitute”, così come amano etichettarle i nostri giornali nei loro titoli e articoli, esisteranno anche gli utilizzatori finali, o quelli che dovrebbero specularmente essere definiti, nel caso di minorenni, come “baby-clienti”.
Esistono, infatti, ragazzini tra i 14 e 16 anni che “acquistano” prestazioni sessuali dalle loro coetanee offrendo oggetti, che le scelgono da appositi menù che si scambiano tra loro e che consumano rapporti sessuali con le prescelte nei bagni della scuola.
A che famiglie apparterranno? Alle famiglie “bene”? “Bene” come benestanti e come “tradizionali”, con una madre, un padre e qualche fratello e sorella (?).
Che trascorso avranno? Un trascorso “normale”? Oppure saranno bulli, apparterranno a qualche gang, faranno uso di droghe e alcol?
Saranno carini, brillanti…? Andranno bene a scuola?
Si sentiranno forti? Penseranno di avere una qualche forma di potere sulle compagne di classe che pagano?
Tutte queste domande non sono poste a caso, ma rappresentano quesiti le cui risposte interessano i nostri giornali, così come l’opinione pubblica, se poste però alle vittime di stupro, alle “baby-prostitute” o “alle ragazze-doccia”. Ce lo hanno confermato i recenti articoli di Concita de Gregorio (di cui abbiamo parlato qui e qui) e ce lo conferma tutti i giorni la cronaca, che tende a puntare il dito sulla donna, anche quando vittima di violenza e di femminicidio, come denunciamo nel nostro video “La violenza sulle donne raccontata dai media”.
I riflettori sono quindi puntati sulla “pietra dello scandalo”, anche se si tratta di ragazzine, indagando sulla loro vita privata, cercando in modo spasmodico motivazioni per le loro decisioni, descrivendo in modo voyeuristico il loro aspetto, deprecando le loro scelte di vita, inquadrando un certo ‘modo di vivere’, agire, vestire, relazionarsi.
Si parla anche in questo caso di 7 famiglie “bene”. Quelle delle ragazze. Ragazze minorenni che si prostituivano, definite “ragazze-doccia”, come si evince subito dal titolo dell’articolo. Alle famiglie dei ragazzini, alle loro scelte, alle loro vite non si accenna. Non interessano.
Il fenomeno è inquadrato univocamente nelle “otto ragazze”, che lo incarnano: le otto ragazze sono il fenomeno.
Prima si legge la carrellata di informazioni che disorientano, in netto contrasto – per l’opinione pubblica – con la “scelta immorale” di prostituirsi: sono ragazze brillanti e carine, che vanno bene a scuola, che appartengono a famiglie benestanti che le mandano in scuole private.
E allora come..? Si chiederanno i più, convinti dalla bigotta idea che solo determinati contesti portino ad altrettanto determinate situazioni.
Arriva puntuale la spiegazione:
ma sono ragazzine che arrivano da un percorso “diverso”, da situazioni di bullismo, droga e alcol. Appartengono a qualche gang.
Ah, ecco.
E poi arriva il terzo fattore. Il potere. A quanto pare si sentono forti nella loro “posizione”, tanto da poter ingabbiare anche l’adulto nel “meccanismo” e nel loro “gioco”. Di come si sentano i ragazzini (o gli adulti), se avvertano una forma di potere nel comprare le loro compagne di classe non è dato sapere e non interessa.
Ed ecco che si delinea il solito format, il caso. Il caso baby-prostitute. Il caso delle ragazze-doccia. “Il caso delle otto adolescenti di Milano“.
Com’è possibile che delle ragazzine così giovani si prostituiscano?
Questa la domanda sottostante, la chiave di lettura attraverso cui interpretare qualsiasi articolo che cerchi di spiegare un fenomeno, inquadrandolo però solo dalla parte delle ragazze.
Quali fattori privati devono star dietro un tale comportamento?
La stessa domanda non è però posta nei confronti dei ragazzi maschi, di chi usufruisce di queste “prestazioni”. La motivazione è molto semplice. Per i più, che sia un sentire palesato o inconscio, è normale che dei ragazzini, vista la “disponibilità” delle loro coetanee, si facciano “irretire”. Il desiderio maschile è dato per scontato, anche quando si tratta di trattative e di scambi di oggetti per qualche minuto di sesso.
Non ci si deve porre poi tante domande, no? Tanto è normale per loro consumare. E’ alla donna – o in questo caso ragazzina – che bisogna contestare la “condotta amorale”, poiché sarà lei, sempre e solo lei a incarnare una “sessualità depravata”.
Precisiamo che la nostra intenzione non è un augurarci una “doppia colpevolizzazione”. A noi non interessa vedere scritti nomi e cognomi degli utilizzatori finali, come De Gregorio fa al termine del suo anacronistico articolo. Non ci interessa un “doppio indagare” spasmodico, che scavi nelle vite private di questi giovani e queste giovani.
Così facendo gli adulti eliminano la propria responsabilità, eliminano ogni responsabilità sociale di più ambio respiro, poiché inquadrano il “fenomeno” e le sue “cause” nei dettagli del “privato”.
Perché quest* ragazzin* vivono in un contesto culturale più ampio, non in una bolla di sapone, che va oltre le loro famiglie “bene” e le loro scuole private. E nel caso di De Gregorio oltre facebook, poiché si tende sempre a condannare acriticamente ciò che non si conosce – come fosse il “lupo cattivo” – anche solo per scarto generazionale. Non comprendendo che siamo tutt* immersi in un contesto socio-culturale ipocrita e contraddittorio, infarcito da quella stessa doppia morale che sono proprio gli adulti a propinare. Dal momento che, oltretutto, accanto a questi articoli che dovrebbero essere di “denuncia” troviamo puntuale la stessa mentalità che alimenta le discriminazioni di genere.
L’analisi, se si vuole mettere in atto, dovrebbe essere un’altra e molto più profonda.
Il titolo del presente post e l’immagine (poiché siamo abituat* a vedere gli articoli che trattano il tema accompagnati dall’anteprima di tacchi a spillo) risultano quindi un semplice ribaltamento di prospettiva, allo scopo di comprendere le motivazioni per le quali non vengano mai presi in considerazione gli utilizzatori finali, perché risulti più facile comprenderli: perché le ragazzine dovrebbero avere alle spalle un determinato retroscena atto a motivare un “tale agire”, mentre i ragazzini no? Source: comunicazionedigenere

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Written by Laura Rossi

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