La legge finanziaria ha introdotto in Italia la Porno Tax e la cosa stranamente non ha suscitato che pochi commenti e pochissimo scalpore.
Stranamente perché invece questo è il primo provvedimento normativo della Repubblica ad andare in senso contrario a quell’ atteggiamento bigotto che considera tutto quanto ruota intorno alla sessualità come un qualcosa di ripugnante, un qualcosa verso il quale l’ atteggiamento è sempre stato ove possibile repressivo o, quando la repressione si è dimostrata praticamente impossibile, è consistito nell’ ignorare la questione facendo finta che il problema non esistesse.
La porno tax, invece, dimostra che non solo lo Stato si è accorto che la pornografia esiste, ma che si è reso anche che molti suoi sudditi la gradiscono, ne fanno uso, e che quindi questa è una fonte di reddito da cui si può trarre un convenientissimo flusso extra di entrate per le sconquassate casse erariali.
Intendiamoci bene, non è che fino ad oggi chi pubblicava giornaletti licenziosi o produceva oggettini destinati ad un uso estremamente privato non pagasse le tasse, in quanto si tratta comunque di attività imprenditoriali come tutte le altre, ma con questo provvedimento lo Stato ha di fatto riconosciuto che esiste una sfera ludica legata al sesso e che, visto che questa sfera fino ad oggi ha procurato lauti guadagni a molti, piuttosto che la condanna morale è preferibile la compartecipazione agli utili.
Chiaramente però un simile provvedimento legislativo non può che far nascere spontanea una domanda: “A quando la regolarizzazione della prostituzione?”
Qui purtroppo la questione diventa molto più spinosa e nel recente passato alcune proposte di legge in tal senso non hanno mancato di suscitare più di una polemica. Verso questo antico mestiere, infatti, l’ atteggiamento è quello ipocrita di sempre, quello cioè di credere di poter eliminare le cause combattendo i sintomi: per non far soffrire i pazzi sono stati chiusi i manicomi, e i famigliari degli psicolabili da allora vivono vite di inferno, per combattere il fumo è stato vietato l’ uso delle sigarette, ma non la loro vendita, per eliminare la prostituzione si sono chiuse le case chiuse e da allora le nostre strade sono diventate bordelli ‘en plein air’.
Se volessimo invece guardare una volta tanto la realtà con un minimo di distacco e un filo di sarcasmo, si potrebbe innanzitutto chiederci: l’ attività delle prostitute danneggia qualcuno?
La risposta parrebbe essere negativa. Se si esclude il problema della diffusione delle malattie, per altro oggi facilmente risolvibile, l’ attività sessuale non pare avere controindicazioni tali da dover tatuare sulla pelle delle prostitute, così come si fa con i pacchetti di sigarette, frasi del tipo “fare all’ amore provoca il cancro” oppure “fare all’ amore danneggia la salute di chi ti sta intorno” (anche perché intorno normalmente non c’ è nessun altro) e tanto meno “fare all’ amore danneggia la salute del tuo bambino” (anzi i bambini devono la loro primigenia salute proprio all’ attività sessuale dei genitori). Nemmeno il catastrofico ex ministro Sirchia inoltre ha mai prodotto statistiche allarmanti sulle morti per sesso.
Anche dal punto di vista dell’ ordine sociale la prostituzione in quanto tale non parrebbe di per sé dannosa. Anzi. Una volta regolamentata e limitata in alcuni luoghi preposti agli incontri mercenari, creerebbe sicuramente meno fastidio e scandalo di quanto non succeda ora che viene praticata senza né regola né controllo nelle trafficate vie cittadine.
Se vogliamo poi prendere in considerazione l’ impatto del sesso professionale sul menage delle famiglie, non è inverosimile immaginare che qualche moglie potrebbe persino apprezzare che il proprio marito, magari non più tanto amato, possa sfogare i propri istinti primordiali con qualche professionista ed essere sollevata dallo svolgere questo compito in prima persona. Inoltre la possibilità di disporre di un po’ di sesso a pagamento dovrebbe allontanare la minaccia di una vera e propria amante, la cui comparsa sulla scena del menage coniugale potrebbe seriamente minare la stabilità familiare.
Rimane la questione della conciliazione con la morale cattolica, ma se vale il principio liberale della libera Chiesa in libero Stato, e soprattutto se è ancora in vigore l’ articolo 7 della Costituzione che sancisce l’ indipendenza tra Stato e Chiesa, da un punto di vista di norme dello Stato questa questione non esiste. Al più basterebbe una circolare del Ministero dell’ Istruzione successiva al decreto di legalizzazione della prostituzione che ricordi ai cattolici che secondo la loro religione la frequentazione delle prostitute costituisce un peccato mortale, ma che, sempre secondo questa dottrina, il pentimento sana qualsiasi controversia con l’ Aldilà: de iure et de facto i ‘laici’ farebbero quindi all’ amore in piena libertà, mentre i cattolici sarebbero costretti a farlo con senso di colpa. Fine del problema.
Da questa analisi non emergono quindi ostacoli pratici alla legalizzazione della prostituzione, ma restano aperte due altre questioni che da sempre vengono sollevate quando si tratta questo tema: la costrizione alla prostituzione perpetrata ai danni di alcune donne e la dignità delle donne stesse.
Sulla prima non credo che ci sia molto da dire: si tratta di un’ immane violenza ai danni di ragazze e donne indifese e come tale va perseguitata, così come si fa ora (magari anche meglio) e così come si persegue ogni forma di violenza. Anzi si potrebbe sperare che una volta sottratto il mercato della prostituzione al pieno controllo delle varie mafie, il problema possa in gran parte ridursi. E’ ovvio che in questo scritto parliamo di donne che scelgono liberamente di dedicarsi a questa professione (e ce ne sono!).
Per quel che riguarda invece la dignità delle donne il sottoscritto non crede affatto che esista una dignità delle donne ed una dignità degli uomini: esiste la dignità di ogni singola persona, uomo o donna che sia. Il fatto che una donna decida di fare commercio della propria attività sessuale potrà costituire una scelta obbrobriosa per alcuni, ma magari non per lei stessa, che è l’ unica a poter decidere cosa sia moralmente conveniente o sconveniente per sé. Se è vero che la libertà propria è limitata solo dalla lesione della libertà altrui, a meno che qualcuno non dimostri che la decisione di una donna di professare l’ antico mestiere costituisca una prevaricazione della libertà di qualcun altro, bisogna ammettere onestamente e razionalmente che non esistono motivi veri e sostanziali per opporsi alla legalizzazione della prostituzione.
Non da ultimo bisogna infine considerare un’ aspetto pratico: la legalizzazione della prostituzione renderebbe pubblici e soprattutto tassabili i proventi di uno dei settori a più alto reddito del mondo. Ammettere che non sia solo il sudore che viene dalla fronte ad essere degno di contribuire con i propri frutti (in questi casi frutti proibiti) al pagamento delle scuole per i nostri figli e delle pensioni per i nostri anziani, potrebbe far storcere un po’ meno il naso anche ad alcuni che oggi si atteggiano a censori della morale altrui: in fondo, una volta legalizzato il mercimonio, il marito libertino con le sue trasgressioni provvederebbe anch’ egli, in un modo un po’ indiretto ma sicuramente piacevole, a garantire una società migliore per i suoi figli! Source: gianfrancorecchia
Bel pezzo. Concordo con le osservazioni dell’autore.