Tutti conosco il caso dell’atleta olimpico trentino Alex Schwazer, trovato positivo ai test antidoping durante le ultime olimpiadi.
Prima di lui però ci sono stati molti atleti conosciuti e amati come il defunto Marco Pantani , Carl Lewis e altri ancora.
Dinanzi a simili casi, si scatena puntuale una ridda di moralismo e polemiche sul “pericolo doping”, sul presunto “esempio che gli atleti danno ai giovani” (e ci si dimentica che tutto può essere un esempio per i giovani, anche un libro scritto male, che banalizza determinate tematiche. Sì, sto parlando di “opere” come quelle di Federico Moccia), e su altre cose simili, che però non porta mai a nulla di concreto.
Alex Schwazer, quando ha ammesso la sua condizione di dopato, ha detto una frase che, secondo il mio modesto parere, dovrebbe fare riflettere:”Non sapete quante volte a casa ho detto che volevo smettere e tutti a dirmi che dovevo andare avanti, che avevo il potenziale per essere il più forte. Pressioni e sacrifici. Non avete idea quanti sacrifici servono per una sola gara. E se va male sei un coglione. Non voglio essere più giudicato per una prestazione. Sono stufo. Sogno una vita e un lavoro normale. Carolina Kostner compete perché ama il suo sport, io perché ero bravo in quello sport, ma non mi piaceva allenarmi per 35 ore la settimana, non ce la facevo più. Tutti vedono solo la gara e la vittoria, ma dietro ci sono allenamenti pazzeschi e sacrifici di anni. E non ne potevo più.”
Ora, non voglio giustificare Schwazer (ha fatto una scelta sbagliata ed è giusto che paghi le conseguenze dei suoi errori), ma secondo me ha ragione nel dire “non avete idea quanti sacrifici servono per una sola gara. E se va male sei un coglione” e nel notare che “tutti vedono solo la gara e la vittoria, ma dietro ci sono allenamenti pazzeschi e sacrifici di anni. E non ne potevo più.”
Queste frasi, anche se dette con l’intento probabilmente di attenuare le sue colpe, purtroppo dicono una cosa assai vera: in Italia esiste una monocultura sportiva imbarazzante.
Nei programmi sportivi, la maggior parte dello spazio è occupato dal calcio e la medesima cosa accade anche nelle riviste a tema (come ad esempio la Gazzetta dello Sport).
Il campionato di calcio (tra l’altro composto da squadre assolutamente rivedibili) si è arrogato il diritto di avere trasmissioni che parlano solo di quello e che seguono in diretta le partite.
Se un atleta non calciatore (sia esso nuotatore, sollevatore di pesi, rugbista o altro) sbaglia qualcosa, come nota giustamente l’atleta trentino “E’ un coglione”, mentre se un calciatore fa il medesimo errore viene quasi scusato.
Basta notare il caso Maradona: niente da obiettare sui suoi meriti calcistici (non voglio fare come chi dice che giocava a calcio bene a causa della droga), ma questi non cancellano il suo passato(se è tale perché con lui non si sa mai) da cocainomane.
E, nonostante questo, è ricordato positivamente. Perché?
Perché è un calciatore, mentre Schwazer sarà ricordato come un tossico non per i suoi (oggettivi) sbagli, ma perché ha deciso di decidarsi alla marcia e non al gioco del calcio.
Un altro esempio: è bastato che l’Italia vincesse il mondiale del 2006 e si è dimenticato lo scandalo enorme di calciopoli. (è talmente degradante che non merita nemmeno la lettera maiuscola)
Oppure il giro di scommesse in cui sono stati coinvolti Buffon e Conte? Lo scandalo dei rimborsi dei dirigenti FIFA?
Tutto scompare perché “ci sono i mondiali” (con la lettera minuscola) o perché il calcio è lo sport più seguito”, ergo più scusato.
E se uno scandalo compare, viene subito sepolto perché il tifo va oltre il ragionamento e gli stessi tifosi di calcio, tanto comprensivi coi calciatori, diventano degli implacabili catoni contro i praticanti di altre discipline sportive.
Un altro esempio di un simile comportamento? Negli anni 90 c’è stata una indagine sul doping nella Juventus, eppure, come spiegò lo stesso procuratore Guariniello, “è più facile trovare un pentito nei processi di mafia che in quelli del doping”.
Perché? Perché il calcio è lo sport più seguito in Italia, muove diversi interessi economici e i tifosi vivono le squadre cittadine in un modo ossessivo, soprattutto in caso di piazze come il Napoli.
Basta ricordare una frase di Renato Rascel “la Roma non si discute, la si ama”, per capire lo spirito del tifoso medio.
Ma non è solo in questo che si dimostra la monocultura sportiva.
Le atlete della Nazionale Femminile di pallavolo (queste sì meritano la maiuscola) hanno concluso la competizione mondiale al quarto posto, eppure in quanti telegiornali si è parlato di questo?
I giornali più benevoli hanno dedicato all’evento un trafiletto striminzito, mentre alla vittoria dell’Italia calcistica nel 2006 si sono dedicati servizi durante i quali hanno parlato opinionisti, tuttologi e si è fatta una dietrologia la cui coda si vede ancora oggi, a distanza di otto anni.
Dinanzi a questa “disparità di trattamento”, è anche umano che un atleta si stufi e che ricerchi vie “più facili”, perché non vede riconosciuto il proprio lavoro, se non in occasione di particolari competizioni.
(attenzione, non voglio giustificare il doping, però voglio provare ad andare oltre il caso singolo)
Forse sarebbe il caso di rivedere le nostre convinzioni e convenzioni, prima di pontificare su determinate cose.