Mi chiedo spesso quanta motivazione al gioco del calcio sia insita nel piccolo calciatore e quanta sia frutto di un’opera di convincimento genitoriale. Quanto può essere gratificante assecondare i sogni di un papà tifoso? Ogni volta che assisto agli allenamenti o alle partite dei Pulcini o dei Piccoli Amici, ascolto con molto interesse le discussioni che animano le tribune: espressioni colorite, esultanze, critiche, urla… Una frase ricorrente è: Se continui a giocare in questo modo t’iscrivo a danza classica! Perché? La danza classica è per sole femmine e il calcio è per soli maschi? Qual è l’obiettivo della mortificazione dei bambini? Spronarli a fare meglio denigrandoli? Dissuaderli dalla scelta che hanno fatto? Guardo a questi genitori con curiosità, col desiderio di porre loro una serie di domande, con la consapevolezza che la tribuna non è il luogo adatto; poi però rifletto sul fatto che nelle società di calcio i genitori non hanno uno spazio dedicato, un contenitore in cui esprimere perplessità, frustrazioni, sogni infranti, e allora quello spazio se lo prendono prepotentemente, utilizzando le tribune, luogo di coalizzazione disfunzionale, inveendo contro il mister che lascia i figli in panchina, contro i figli poco attivi. Come nella scuola un figlio può scegliere il proprio percorso formativo, così nello sport ciascuno dovrebbe avere diritto di scelta, tra danza e calcio, tra basket e arti marziali senza che la scelta risulti il rispetto di un’aspettativa. Vorrei che il calcio incontrasse la famiglia considerandola come parte di un progetto educativo; vorrei che ogni piccolo calciatore giocasse a calcio per scelta.
Per fare un progetto educativo ci vuole un processo educativo, partendo da un percorso culturale che aiuti e permetta di capirne il senso dell’educazione e del rispetto del prossimo in tutti gli ambiti, anche in quello sportivo. Altrimenti frustrazioni, sogni infranti e luoghi di coalizzazione disfunzionale ci saranno sempre. Interessante e bell’artico, brava.