Divesi telefilm statunitensi, con toni molte volte assai pomposi, ci presentano gli organismi di indagine del suddetto paese come immuni da errori, siano essi commessi in buona o in cattiva fede. In tali serie tv (un esempio è Close to home) i fautori del sistema giudiziario statunitense (non uso il termine americano, perché credo si debba cominciare a smettere di associare tre continenti con un solo paese. Per dirla in termini brevi, anche un messicano o un salvadoregno sono americani) sono sempre nel giusto e non hanno mai sfiorati dal dubbio che, forse, stanno sbagliando. No, loro sono nel giusto e hanno sempre ragione, perché gli Stati Uniti d’America sono i portabandiera della democrazia (anche se hanno avuto presidenti che hanno discriminato gli atei. Vero Bush padre e figlio?) e in quanto tale “non accettano lezioni” da nessuno. Eppure, la giustizia statunitense, se analizzata nella sua verità, non è immune a errori e idiozie, in tal caso rese assai più gravi per via della presenza di una istituzione discutibile come la pena di morte, che rende irrimediabili determinati, gravissimi errori. (quanti nel braccio della morte si sono scoperti innocenti? E quanti sono stati condannati da minorenni, con forti dubbi sulla loro effettiva colpevolezza, per ragioni razziali o ideologiche? E potrei continuare, ma mi fermo qui). Un esempio di approssimazione nell’ambito giudiziario è nel caso della notizia che riporta il link che ho messo all’inizio di questa riflessione. Dinanzi a eventi come questi, c’è da chiedersi sulla base di che delirante principio di onnipotenza agisca la giustizia non solo statunitense, ma anche dell’intero ecumene. Sulla base di cosa quest’uomo è stato condannato ad una detenzione così lunga e sfibrante? Di una ciocca di capelli descritta analizzata in maniera imprecisa da agenti dell’FBI, nonostante la vittima di questa violenza avesse descritto il suo aggressore come “rasato”. E dalla foto di repertorio questo sospettato tutto mi sembra meno che rasato. Anzi, ha una chioma piuttosto folta e ricciuta. Senza essere degli altissimi, purissimi et levissimi agenti dell’FBI (si nota l’ironia in queste parole?), una persona di buonsenso si sarebbe chiesta: come si spiega la presenza di una ciocca di capelli su una scena di una violenza, quando la stessa vittima di questo deprecabile crimine ha descritto l’aggressore come “rasato”? Se un individuo è rasato, anche a seguito di una collutazione con la vittima di un evento delittuoso, non può lasciare delle ciocche di capelli lunghe e ricciute, come quelle di questo individuo, che, come ho detto, ai tempi tutto era meno che rasato come un naziskin. Anche un imbecille capirebbe l’assurdità di una simile accusa e gli investigatori dell’FBI dovrebbero capirlo al volo. Per citare un personaggio storico lento di comprendonio, perfino uno con l’intelligenza di Catone Uticense ci sarebbe arrivato e, se fosse vissuto in una epoca contemporanea, avrebbe lavorato per una gestione giusta del processo. E Catone Uticense, malgrado la fermezza dei suoi ideali (anche se alcuni discutibili) e la forte volontà, viene descritto come uno “lento e duro di comprendonio”. Ora, ci sarebbe arrivato anche lui, come mai nessuno degli investigatori, in teoria persone assai sveglie, si è mai fatto questa domanda? Perché nessuno degli agenti dell’FBI ha notato questa contraddizione tra la presenza di quella ciocca e la testimonianza della anziana donna? Hanno pensato tutti ad una menzogna della donna, magari costretta dal supposto violentatore? D’accordo, può essere anche una spiegazione, ma non sarebbe stato meglio indagare in maniera accurata? Perché si è preferito incarcerare una persona che, probabilmente, col crimine effettuato ai danni di questa povera donna nulla c’entrava? Fretta? Connivenze politiche? Faciloneria? Oppure il condannato era già un pregiudicato e rappresentava un capro espiatorio di comodo rispetto a qualcun altro, che magari era un “insospettabile”? Purtroppo, succede anche questo. Una persona con dei precedenti viene condannata perchè “è già marchiata” e un insospettabile, specie se è potente e ricco, non lo si può sbattere in galera, anche se lo meriterebbe. Ma non è questo il punto, anche perché io non conosco nulla di quest’uomo e le mie sono solo ipotesi. Come ho detto, il nocciolo di questa assurdità è il menefreghismo degli organi giudiziari dinanzi alla contraddizione tra i risultati di questa analisi condotta in modo demenziale e la testimonianza della vittima, che, a quanto vedo, non è stata tenuta in considerazione. Altra riflessione è questa: spesso si dice alle persone vittime di un crimine odioso e deprecabile come la violenza di denunciare alle forze dell’ordine, ma come può, dinanzi a simili casi, una vittima di violenza fidarsi delle forze dell’ordine? Come le si può chiedere un simile sforzo, se la propria testimonianza non è considerata nel suo giusto valore? Non si deve dimenticare che una persona vittima di violenza non vuole sottomettersi all’esame clinico e, in molti casi, cinico della propria vita e, se lo fa, è per una ragione precisa, ossia condannare ad una giusta pena l’autore di un crimine ingiusto. Dinanzi a simile pressapochismo, come si può dire alle vittime di fidarsi dello stato? Quest’approssimazione ha portato due vittime: una donna senza giustizia e un uomo in carcere da innocente. E il vero colpevole di questo crimine, se non è morto per altre cause, si gode una vita tranquilla, magari rispettato da un’intera comunità. Davvero rassicurante.