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Nam myoho renge kyo

La frase Namu myōhō renge kyō (南無妙法蓮華経) è l’invocazione o, in giapponese, daimoku (題目, cin. tímù, titolo) riferita al titolo del “Sutra del Loto della Legge Mistica[1]”.
Il Sutra del Loto è un testo composto probabilmente in dialetto pracritico e poi tradotto in sanscrito nell’Impero Kushan tra il I e il II secolo d.C., e che alcune scuole buddhiste sino-giapponesi ritengono raccolga gli insegnamenti degli ultimi otto anni di vita del Shakyamuni, il fondatore storico del Buddhismo, vissuto alla fine del VI secolo a.C.
In sanscrito il titolo è सद्धर्मपुण्डरीकसूत्र (Saddharmapuṇḍarīka-sūtra), letteralmente “Sutra del Loto della Legge meravigliosa” e nella traduzione in cinese di Kumarajiva, del V secolo d.C., è 妙法蓮華經 (pinyin: Miàofǎ Liánhuā Jīng, giapp. Myōhō renge kyō) a cui si aggiunge inizialmente il titolo onorifico di 南無 (pinyin: Nánwú, giapp. Namu o Namo) che deriva dal sanscrito नमः (Namaḥ) che indica saluto, venerazione in rapporto a un mantra.
La pratica della recitazione di Nam myōhō renge kyō (in cinese Nánwú miàofǎ liánhuā jīng) si avviò in epoca Tang in Cina presso la scuola Tiantai, probabilmente durante il patriarcato di Zhànrán (湛然, 711-782) e fu diffusa in Giappone dal monaco giapponese Nichiren (日蓮, 1222-1282) nel 1253 secondo il quale la recitazione ogni giorno di questa invocazione consente a ciascun essere umano di raggiungere la propria natura illuminata. Ma già il monaco giapponese Kūkai (空海, 774-835), fondatore della scuola buddhista giapponese Shingon (真言), aveva indicato nel titolo del Sutra del Loto un vero e proprio mantra (眞言 giapp. shingon) e quindi la parte centrale di tutta l’opera.[2]
Secondo la tradizione buddhista sino-giapponese il titolo del sutra riassume, sintetizza e rende presente il senso profondo dell’insegnamento in essa contenuto:
Namu (南無 cinese: nánwú, ma pronunciato nei monasteri con l’arcaico nanmu), derivante dal sanscrito namaḥ, indica la devozione, il rendere onore. Ha il significato di apertura e accettazione della legge dell’universo, armonizzandovi la propria vita e traendone forza e saggezza per superare le difficoltà.
Myō significa “meraviglioso” e hō Dharma, sia nel senso di “Legge” sia come “ente” (妙法 cinese: miàofǎ).
Renge (蓮華 pronuncia cinese: ‘liánhuā’) indica il fiore di loto, che simboleggia il risveglio e lo stato di illuminazione che emerge dalle difficoltà della vita quotidiana e la contemporaneità di causa ed effetto.
Kyo (経 cinese: jing, sutra, testo canonico) indica l’insegnamento del sutra e la scrittura o il suono attraverso cui si esprime; il carattere cinese che lo rappresenta aveva in origine il significato di “trama” (contrapposta a “ordito”, wei, con cui si intendono i testi eterodossi).
I sette caratteri del daimoku vengono riportati anche nel centro del mandala, o Gohonzon, che, secondo alcune scuole del Buddhismo Nichiren, rappresenta la vita di colui che recita, come una sorta di specchio; quindi non è l’oggetto in sé ad essere venerato, bensì è la propria vita; l’unico mezzo attraverso il quale il praticante può raggiungere i propri obiettivi, infatti, è la propria azione, compiuta con la consapevolezza della legge di causa ed effetto. Tuttavia il preciso significato dei termini, la loro esatta pronuncia e il loro peso nella pratica del culto, differiscono leggermente a seconda delle varie scuole religiose derivate da questa tradizione.

Il daimoku nella Nichiren Shōshū
Il termine Daimoku si riferisce al titolo di un sutra. Nella Nichiren Shōshū, ci sono tre livelli di interpretazione del termine “Daimoku” [3].
Il primo livello è il titolo del Sutra del Loto in contrasto con i titoli di tutti gli altri sutra.
Il Daimoku rappresenta Myoho-Renge-Kyo come titolo degli otto volumi del Sutra del Loto, includendo il profondo significato di tutti i sutra.
Nichiren Daishonin afferma come segue nel Goshō “Ripagare i debiti di gratitudine” (Hō’on-shō):
«I titoli sono essenziali per convogliare i contenuti di una scrittura, sia essa superiore o inferiore… I cinque caratteri di Myō-Hō-Ren-Ge-Kyō, senza bisogno di dirlo, sono l’essenza degli otto volumi [del Sutra del Loto], il cuore di tutti i Sutra, e la Legge più suprema e corretta riverita da tutti i Buddha, i Bodhisattva, le persone dei due veicoli, gli esseri celesti, gli asura, le divinità drago e così via.[4]»
Il secondo livello di interpretazione è il Daimoku del Buddhismo del raccolto. Ciò significa il Daimoku del Sutra del Loto che venne insegnato per portare le persone all’illuminazione durante l’era di Śakyamuni e i successivi Primo e Ultimo giorno della Legge.
Il terzo livello di interpretazione è il Daimoku del Buddhismo della semina nascosto nelle profondità. Nichiren Daishonin afferma nel Goshō “Sulle Tre grandi Leggi Segrete” (Sandai hihō-shō):
«Ora, nell’Ultimo giorno della Legge, il Daimoku che Nichiren recita è differente da quello delle precedenti epoche. È il Nam-Myoho-Renge-Kyo della pratica per se stessi [per Nichiren Daishonin stesso come il Vero Buddha] e la pratica per gli altri [permettendo agli altri di raggiungere l’illuminazione anch’essi].[5]»
In contrasto con il Daimoku che veniva recitato solo come pratica per se stessi, come fatto da Nāgārjuna, Vasubandhu, Zhìyǐ e altri prima dell’Ultimo giorno della Legge, il Daimoku del Buddhismo della semina nascosto nelle profondità del Sutra del Loto è, esso stesso, l’illuminazione di Nichiren Daishonin, considerato dalla Nichiren Shōshū il Vero Buddha dell’infinito passato di kuon-ganjo. Questo Daimoku permette a tutte le persone di raggiungere la Buddhità.
Inoltre, “Il significato nascosto nelle profondità” (Montei hichin-shō) scritto dal 26ˁ Sommo Patriarca della Nichiren Shōshū, Nichikan Shonin si riferisce al Daimoku dell’Insegnamento Essenziale delle Tre grandi Leggi Segrete:
«Il Daimoku dell’Insegnamento Essenziale deve invariabilmente accompagnare sia la fede che la pratica. Così, il Daimoku dell’Insegnamento Essenziale significa recitare Nam-Myōho-Renge-Kyō con fede solo nel Vero Oggetto di culto dell’Insegnamento Essenziale.[6]»
Ciò spiega il significato della recitazione del Daimoku nell’Ultimo giorno della Legge. La Nichiren Shoshu è considerata, però, una setta. “Un prete della Nichiren Shoshu, Jimon Ogasawara, distorse gli insegnamenti del Daishonin per giungere a compromesso con il governo militare e cercò di manovrare il clero in questo senso. Si sparse la voce che, se la Nichiren Shoshu non avesse accettato di porre accanto al Gohonzon l’amuleto shintoista (una lunga striscia di carta che recava il nome della divinità shinto Amaterasu), come chiedeva il governo, sarebbe stata denunciata al ministero dell’educazione. Nel giugno 1943, il presidente Makiguchi e Toda furono convocati al tempio principale e, alla presenza del patriarca Nikkyo, il clero ordinò alla Soka Gakkai di accettare il talismano. Makiguchi e Toda rifiutarono e, in seguito a questo, furono imprigionati. Makiguchi morì in carcere.” Infatti il fondatore della Soka Gakkai morì in carcere pur di non rinnegare gli insegnamenti del Daishonin. La Soka Gakkai è un’organizzazione laica, che diffende il Buddismo con i seguenti scopi: per la pace, la cultura e l’educazione. Alla fine degli anni settanta, un gruppo di preti che si autodefinì Shoshinkai denunciò la Soka Gakkai affermando che il suo piano di studi sulla trasmissione del Buddismo (kechimyaku) e sulla relazione maestro-discepolo (shitei funi) deviava dall’ortodossia della Nichiren Shoshu. A quell’epoca, a causa delle manovre di Masatomo Yamazaki (vedi Il caso Yamazaki) e di Takashi Harashima (il responsabile del dipartimento di studio della Soka Gakkai), la reazione dell’opinione pubblica a questo conflitto fu molto negativa e il presidente Ikeda fu costretto a dimettersi anche dalla carica di sokoto (responsabile di tutte le organizzazioni laiche della Nichiren Shoshu). Il 6 agosto 1979, dopo la morte del patriarca Nittatsu, diventò patriarca Abe Nikken.
I preti dello Shoshinkai lo denunciarono affermando che egli non aveva ricevuto la vera trasmissione della Legge e, nel febbraio 1980, quei preti furono espulsi dalla Nichiren Shoshu. Questi eventi dimostrarono le vere intenzioni dello Shoshinkai e la correttezza della versione della Soka Gakkai. Nikken chiese ad Ikeda di riassumere la carica di sokoto. Ma il 13 febbraio 1990, in occasione di una delle riunioni mensili di comunicazione tra ufficio amministrativo del clero e la Soka Gakkai, il reverendo Fujimoto fece una serie di domande a proposito di un nastro registrato che conteneva un discorso tenuto da Ikeda un mese prima e chiese una risposta scritta entro una settimana.
In sintesi, il clero affermava che Ikeda avesse negato la validità di alcuni passaggi di Gosho (quelli in cui venivano confutate le sette Zen Ritsu e Shingon) e che avesse fatto cantare l’Inno alla Gioia di Beethoven nel quale veniva nominata la parola “Dio”, cosa, quest’ultima, che equivaleva a venerare insegnamenti non buddisti. Dopo un’ulteriore richiesta di udienza da parte della Soka Gakkai, accompagnata da nove domande di chiarimento, il clero del Tempio principale – ritenendosi offeso – il 27 dicembre 1990 revisionò i regolamenti della Nichiren Shoshu rimuovendo il presidente Ikeda e Akiya dai loro incarichi. L’azione fu repentina e la Nichiren Shoshu informò la stampa prima della Soka Gakkai.
In risposta a questi provvedimenti il presidente Akiya inviò una lettera di protesta dove denunciava l’arbitrarietà e l’unilateralità delle decisioni e avanzava alcune richieste: 1. che il clero si aprisse al mondo in maniera consona a un’epoca democratica; 2. che il clero correggesse i modi autoritari e il comportamento sprezzante verso i laici; 3. che il clero eliminasse la corruzione tra i preti ristabilendo la tradizione di modestia e saggezza. In seguito a questi eventi, l’8 novembre 1991 fu recapitato alla Soka Gakkai un “Ordine di scioglimento” firmato da Nikken.
La risposta dei membri di tutto il mondo fu una petizione con richiesta di dimissioni del patriarca. Il 29 novembre 1991 la Nichiren Shohu scomunicò la Soka Gakkai, impedì ai membri di tutto il mondo di visitare il Dai-Gohonzon al tempio principale e interruppe la consegna dei Gohonzon individuali a tutti i membri della Soka Gakkai. Questo comportamento settario della Nicheren Shoshu dimostra che quest’ultima non porta avanti correttamente la dottrina di Nichiren Daishonin. Lo dice il daimoku stesso “Mio” che significa anche aprirsi.

Note
1.^ Il carattere cinese 妙 (pinyin miào, giapp. myō) qui reso come “mistica” in riferimento alla Legge (法, pinyin fǎ, giapp. hō, sanscrito dharma, tib. chos) non deve essere inteso come trascendente la realtà quotidiana come il termine italiano “mistica” potrebbe suggerire, infatti è qui la resa in carattere cinese del termine sanscrito sat che ha molteplici significati come: buona, misteriosa, mistica, meravigliosa, reale, ma anche: strana, miracolosa, inconcepibile, profonda, sottile, squisita. Il carattere 妙, pinyin miào (miao 4 tono) e l’unione di due caratteri 女 e 少, il primo dei quali 女 indica una “donna” mentre il secondo 少 indica “poco” quindi una donna di pochi anni, una giovane, disegna dunque l’apparizione di una giovane dama di bell’aspetto che sopraggiunge d’un tratto e inaspettata nella nostra visuale. Lo stato d’animo che provoca vuole richiamare, in questo caso, collegandolo al carattere 法, lo stesso stato d’animo di stupore che si prova quando si penetra il profondo significato della Realtà o Legge su cui si fonda la nostra stessa realtà quotidiana.
2.^ Francesco Sferra In: Sutra del Loto. Milano, Rizzoli, 2001.
3.^ Nichiren Shōshu, 2009. Basic Terminology of Nichiren Shōshu, Vol. 1. Dipartimento di Pubblicazione del Comitato Commemorativo per il 750ˁ Anniversario della Rivelazione della Verità e Mantenimento della Giustizia tramite la sottomissione del Risshō ankoku-ron: p. 26-27.
4.^ Goshō, p. 1031
5.^ Gosho, p. 1594
6.^ Nichikan Shonin, Scritti in Sei Volumi.

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Written by Vicky Ledia

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