Trama
Dopo essere riuscito a sfuggire dalle montagne nebbiose, Bilbo Baggins (Martin Freeman) continua il suo viaggio per recuperare il regno perduto di Erebor. Ad accompagnarlo, vi sono il mago Gandalf (Ian McKellen) e Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), a capo della compagnia dei tredici nani.
Commento
Seconda parte della trilogia “Lo Hobbit”, tratta dal romanzo di J.R.R. Tolkien.
Recensione
La desolazione di Smaug, l’immenso avido drago che sottomette da decenni Erebor, cittadina lacustre che ricorda una gelida ma seducente Venezia nordica, e tutta la vasta area circostante, è il prezzo che da sempre paga l’umanità più umile e pacifica quando cede alla prepotenza di uno o più personalità avide , corrotte e assetate di potere e ricchezza. E la desolazione si antepone ad una caverna colma di ricchezze a quel punto fini a se stesse e nascoste la’ solo per compiacere il capriccio di una figura immonda e malvagia che ben si presta a rappresentare una classe dominante senza limiti che la vita degli ultimi cinquant’anni di relativo benessere ben e amaramente ci ha delineato. Lo Hobbit di Peter Jackson, versione pompata ma spettacolare del romanzo “sintetico” (almeno rispetto alla successiva “trilogia dell’anello”), è in fondo una riscrittura “fantasy” della storia delle nostre antiche civiltà, sempre in conflitto tra di loro per contendersi regni e ricchezze, territori e supremazie; e dunque ancora, più in generale, la storia dell’intera umanità, mai paga di guerre e di combattimenti, quando basterebbe usare il buon senso e la solidarietà al posto delle armi e delle tattiche di attacco. Qui a popoli differenti corrispondono non tanto razze diverse, ma proprio specie viventi completamente incompatibili, quasi come razze differenti ed inconciliabili per aspetto, taglia e dimensioni, di cani, che non potrebbero nemmeno pensare di accoppiarsi tra di loro (anche se in verità qui l’elfa “silvana” – cioè di rango inferiore -Tauriel snobba il bello e regale (e sin troppo sicuro di sé e montano) Legolas, per cadere innamorata di un piccolo, seppur insolitamente carino, givane nano della banda dei tredici, rimasto ferito in seguito alla ricerca del regno, e del “tessssoro”, perduti). Il capitolo di mezzo della saga dedicata al giovane hobbit da cui partiranno le gesta del piu’ noto “Il signore degli anelli”, parte con un lungo antefatto, preceduto – come a voler introdurci a distanza di un anno da quanto raccontato nel primo capitolo – dall’incontro tra il re senza trono dei poveri nani e lo stregone grigio Gandalf, in una locanda di Brea, cittadina umile e povera che una sinuosa e virtuosistica macchina da presa inquadra a grandi virate dall’alto, introducendosi nel locale non prima di aver inquadrato alla svelta un Peter Jackson che se ne esce furtivamente sgranocchiando una carota. Un lungo antefatto dunque, prima di arrivare al drago già annunciato e intravisto nel primo episodio. Un mostro a cui l’attore britannico affascinante e dagli identici occhi taglienti della creatura, Benedict Cumberbatch, da’ voce (da noi doppiato efficacemente da Luca Ward) e parte delle sembianze maligne ma affascinanti. Il film tiene desta l’attenzione per quasi tre lunghe ore, solo a patto che ci si lasci completamente andare e catturare nei meandri magici e contornati di pericoli e mostri minacciosi di una vicenda che è una favola, ma anche una parabola della prepotenza umana che devasta e crea contese e lotte senza fine. E solo se si riesce ad accettare un non-inizio e un non-finale che renderanno inevitabilmente questa virtuosa opera di mezzo come una necessaria ed inevitabile pellicola di passaggio da un concitato e complesso primo tempo (con anello, Gollum ed altri elementi basici della narrazione), e un epilogo che potrebbe annunciarsi epocale come l’altro “terzo” e fondamentale “Il ritorno del re”. AVVENTURA – DURATA 170′ – USA, NUOVA ZELANDA