Il latino volgare (in latino: sermo vulgaris) è l’insieme delle varianti della lingua latina parlate dalle diverse popolazioni dell’Impero romano. La sua principale differenza rispetto al latino letterario è la maggiore influenza dei substrati linguistici locali e la mancanza di una codificazione legata alla scrittura.
Caratteristiche
Il latino volgare include tutte le forme tipiche della lingua parlata che, quindi, proprio per tale natura erano più facilmente influenzabili da cambiamenti linguistici e da influssi derivati da altre lingue. La lingua latina sviluppatasi, cresciuta e diffusasi con Roma e la sua statalità nell’Impero, era divenuta col tempo la lingua di una minoranza elitaria, del ceto amministrativo mercantile e dei letterati, ben lontana dalla lingua parlata quotidianamente da tutte le genti a tutti i livelli sociali. Diverse, infatti, erano le lingue dei popoli o volgo che restavano radicate a lingue o parlate preesistenti al latino e più o meno influenzate dalla lingua di Roma. Quindi la lingua latina, benché si fosse diffusa in tutto il territorio occupato da Roma subendo, e imponendo a sua volta, influenze secondo i territori, risultava essere più una lingua franca e, per certe genti, una lingua modello da imitare, un esempio di lingua culturalmente elevata. In Oriente, quindi, la presenza di una cultura greca molto forte fu ostacolo al radicarsi del latino, mentre in territori come la Gallia, la Dacia e l’Iberia la lingua latina influenzò significativamente le parlate locali. Una distinzione tra latino letterario e latino volgare non è applicabile ai primi tre secoli di storia romana, quando le necessità della vita avevano forgiato una lingua non del tutto formalizzata dal punto di vista grammaticale. Si può infatti dire che i documenti latini più antichi riflettono molto da vicino o corrispondono del tutto alla lingua parlata all’epoca in cui furono redatti. Le prime opere letterarie in latino compaiono nella seconda metà del III secolo a.C. e riflettono un’importante evoluzione, effettiva sia sul piano lessicale sia sul piano grammaticale, che corrisponde all’espandersi dell’influenza di Roma.[1] I popoli vinti dai Romani appresero la lingua dei dominatori e questa si sovrappose alle parlate locali. Inversamente, il latino accolse elementi dialettali, italici e non, configurandosi come “latino volgare”: la lingua parlata si contrappone così alla lingua scritta, depurata da forestierismi o da elementi dialettali, formalizzata sintatticamente e grammaticalmente, fornita di un lessico controllato.[2] Con sermo provincialis (“lingua degli abitanti delle province”), o anche sermo militaris (“gergo militare”), sermo vulgaris (“lingua volgare, del volgo”) o sermo rusticus (“lingua rustica, campagnola, illetterata”), si indica comunemente il modo di riferirsi dei dotti latini alle parlate delle Province romane fino al II secolo d.C. Nelle Province, infatti, non si parlava il latino classico, ma un latino, differente da zona a zona, che aveva subito gli influssi particolari della regione in cui era stato importato. Tali modifiche agivano sia a livello fonetico (ad esempio, nelle aree in cui, prima dell’arrivo del latino, erano utilizzate lingue celtiche, era rimasta, anche una volta adottata la lingua di Roma, la presenza della vocale turbata U, ossia pronunciata come nel francese moderno o in alcune aree del Nord-Italia, ed in Iberia dove la popolazione non pronunciava la latina F (spagnolo: hacer < latino: facere) che lessicale (per esempio, nelle parlate volgari si tende a servirsi di metafore concrete piuttosto che di vocaboli neutri: si usa testa, ossia "vaso di coccio a forma di testa umana", al posto del latino caput), ed erano sostanzialmente dovute al sostrato, appunto lo strato linguistico precedente al latino.
La crisi del III secolo e la nascita delle lingue romanze
A partire dal III secolo, a causa della caduta del prestigio culturale di Roma e poi dell’autorità politica del suo potere centrale, della diminuzione dei rapporti commerciali con le province, dell’avvento del Cristianesimo, e poi delle invasioni barbariche (che portarono: in Italia prima i Goti nel V secolo, poi i Longobardi nel VI ed infine i Visigoti in Spagna; i Franchi in Francia), le varie parlate volgari cominciarono ad evolversi, fino a diventare vere e proprie lingue (le lingue neo-latine). L’evoluzione di ognuna di queste fu autonoma, ma quasi tutte ebbero alcune caratteristiche comuni:
il passaggio del tipo di accento da quantitativo (ossia con accentazione data dalla lunghezza di pronuncia delle sillabe) ad intensivo (l’accentazione è garantita dalla maggiore o minore intensità di pronuncia delle sillabe, così com’è attualmente nell’italiano)
la caduta di sillabe atone intermedie di alcune parole (così, da parabolare avremo parlare in italiano, con caduta della terza sillaba, parler in francese, e così via)
la costruzione della forma passiva dei verbi, che acquisisce l’ausiliare essere (“io mangio”, all’attivo, diventa “io sono mangiato” al passivo)
la costruzione del futuro semplice, formato dall’infinito del verbo + il presente di avere (“amare + habeo”, dove “habeo” si contrae in “ao”, per cui “amarao”, quindi “amarò”, quindi “amerò” in italiano, o “j’aimerai” in francese)
la costruzione del condizionale, che si forma aggiungendo all’infinito del verbo il perfetto (solo in italiano) o (in portoghese, spagnolo e francese) l’imperfetto di avere (“amare + habui”, che nella forma popolare diverrà “hebui”, dando origine a “ei”, per cui: “amare + ei”, quindi “amarei”, poi “amerei” in italiano; “amaría” da “amar + había” in spagnolo).
A partire dal sermo provincialis di ogni zona, quindi, si svilupperanno dialetti e lingue romanze (o neo-latine, vista la loro discendenza dal latino), che già all’inizio dell’anno Mille daranno vita ad una situazione linguistica ben definita: nella penisola iberica avremo l’antico galiziano a nord ovest (da cui deriverà anche il Portoghese), i dialetti castigliani-asturiani (da cui deriverà lo spagnolo) al centro-nord, l’aragonese a nord-est e numerosi dialetti mozarabi al centro-sud, successivamente estinti con la reconquista. Nell’odierna Francia e nei pirenei orientali si differenzieranno il francese (o Lingua d’oil) a nord, l’occitano (o Lingua d’oc) al centro-sud, il Catalano a sud-ovest ed il franco-provenzale al centro-est. Nell’area alpina centro-orientale si svilupperanno le lingue retoromanze (Friulano, Romancio e Ladino, nonché dialetti minori come l’antico Tergestino). In Italia settentrionale si svilupperanno le lingue gallo-romanze (Piemontese, Lombardo, Ligure, Emiliano-Romagnolo), il Veneto e l’Istrioto. Nell’Italia centro-meridionale il toscano, l’italiano mediano, il napoletano (in gran parte meridione continentale) e il siciliano in Sicilia, Calabria meridionale e Salento. Nelle isole di Sardegna e Corsica si affermerà il sardo ed il corso, con quest’ultimo che finirà successivamente per subire le influenze del toscano; sulla costa orientale dell’Adriatico, nei Balcani, si troveranno le lingue Balcanoromanze, tra cui il dalmatico (estinto), i dialetti Morlacchi e quello delle lingue dacoromanze.
Le fonti del latino volgare
La ricostruzione di una lingua parlata come il latino volgare non può che essere indiretta. Le fonti disponibili per questa lingua sono[3]:
iscrizioni private, in cui lo scalpellino può essere incappato in qualche forma di volgarismo (interessanti a questo proposito i graffiti pompeiani)
le condanne dei grammatici verso alcune forme, la cui vitalità è così attestata (si veda ad esempio la Appendix Probi, dove ad una forma “sbagliata” – e più simile alla forma che poi si affermerà in italiano – viene accostata la forma accurata)
testi redatti da semianalfabeti, specie diari e lettere (si pensi all’Itinerarium Egeriae, del V secolo, che tratta del viaggio di una monaca spagnola in vari luoghi santi della cristianità)
il confronto tra le lingue neolatine, che permette di ricostruire retrospettivamente, anche in assenza di documenti, una forma probabile di latino parlato (un esempio di forma ricostruita è passare, non attestato ma probabilmente derivato dal sostantivo passus, visto il francese passer, l’italiano passare, lo spagnolo pasar)
Testimonianze scritte
Graffiti pompeiani
Le prime e maggiori testimonianze scritte provengono dagli scavi archeologici di Pompei che sono ancora oggi visibili sui muri delle case della città campana, conservati dalla cenere vulcanica del Vesuvio. I graffiti sono un’ottima testimonianza della forma espressiva del popolo del I secolo d.C. Ad esempio l’iscrizione n.77:
«Myrtile, habias propitium Caesare»-
Notiamo subito la caduta della
«sic habeas Venere Pompeianam propytia».
Notevoli le modifiche ai verbi, in questo caso nel verbo avere, ma si trovava anche la forma ama per amat.
La caduta delle terminazioni di alcune coniugazioni verbali e di alcune declinazioni, era, quindi, già presente durante il primo Impero e, anzi, si accentuò con il tempo provocando quelle patologie linguistiche che condussero a sostenere alcune parti della frase con elementi nuovi come gli articoli.
Altri numerosi esempi si trovano nelle iscrizioni delle catacombe romane.
Appendix Probi
L’Appendix Probi (Appendice di Probo[4]) è un elenco delle forme corrette ed inesatte di 227 parole latine, posto da un autore anonimo risalente al III secolo d.C. in appendice ad una copia di Institutiones grammaticae, una grammatica latina attribuita a Marco Valerio Probo, un erudito e grammatico del I secolo d.C. L’elenco testimonia l’evoluzione e le differenze del latino parlato rispetto alla lingua scritta, già in epoca tardo-imperiale. Il testo veniva probabilmente utilizzato, infatti, a fini didattici per indicare agli allievi l’ortografia corretta di alcuni vocaboli, la cui diversa pronuncia rispetto a quella classica conduceva all’errore. Alcune forme scorrette risultano affini, nella grafia, alle parole corrispondenti nella lingua volgare e nell’italiano moderno; tale fatto potrebbe indicare come, già all’epoca, fossero entrate in uso alcune tendenze che porteranno poi al volgare, come teorizzato ad esempio da Leonardo Bruni. Alcuni esempi:
1 calda invece di calida
2 lancia invece di lancea
3 oricla invece di auris
4 facia invece di facies
5 acqua invece di aqua
6 Febrarius invece di Februarius
7 autor invece di auctor
8 autoritas invece di auctoritas
La fonologia del latino volgare
Vocali
Nel passaggio del latino classico al latino volgare si ha un cambiamento riguardo alle vocali; da un sistema fondato sulla durata si passa a un sistema fondato sulla qualità vocalica, di apertura (vocali aperte e chiuse). Il latino classico aveva due gruppi di vocali: le vocali brevi (Ĭ Ĕ Ă Ŏ Ŭ) e le vocali lunghe (Ī Ē Ā Ō Ū). Queste ultime avevano una durata doppia rispetto alle prime. Questo bastava per distinguere i significati di due parole, per esempio:
vĕnit “egli viene” ma vēnit “egli venne”pŏpŭlus “popolo” ma pōpŭlus “pioppo”
Nel latino parlato la differenza tra vocali brevi e lunghe è sostituito dalla differenza tra vocali aperte e chiuse. Le brevi tendono ad aprirsi, invece le lunghe tendono a chiudersi. Alcune coppie di vocali che avevano acquistato un timbro quasi uguale si fondono determinando la nascita di un nuovo sistema vocalico che è alla base del sistema vocalico italiano.
Evoluzione del vocalismo tonico
Esempi:
prīmu(m) [‘priːmo]
sĭnu(m) [‘seːno]
tēla(m) [‘teːla]
tĕmpu(s) [‘tɛmpo]
mātre(m) [‘maːdre]
pătre(m) [‘paːdre]
pŏrtu(m) [‘pɔrto]
pōmu(m) [‘poːmo]
mŭndu(m) [‘mondo]
lūna(m) [‘luːna]
Le vocali aperte /ɛ/ e /ɔ/, quando si trovano in sillaba aperta (terminante in vocale) si dittongano in /jɛ/ e /wɔ/ rispettivamente. Esempi:
dĕce(m) [‘djɛːʧi] pĕde(m) [‘pjɛːde] mĕle(m) [‘mjɛːle]
bŏnu(m) [‘bwɔːno] cŏrĭu(m) [‘kwɔːjo] sŏlu(m) [‘swɔːlo]
Monottongamento
Un altro importante fenomeno vocalico è il monottongamento, cioè la riduzione dei dittonghi latini AE, OE e AU a una sola vocale: da AE si passa a /ɛ/ che dittonga a sua volta in /jɛ/ in sede tonica e sillaba aperta; OE si riduce a /e/ e finalmente AU si monottonga in /ɔ/. Alcuni esempi:
laetu(m) > lièto [‘ljɛːto] saepe(m) > sièpe [‘sjɛːpe/] praemĭu(m) > prèmio [‘prɛːmjo]
poena(m) > péna [‘peːna] amŏenu(m) > amèno [a’mɛːno] oeconomĭa(m) > economia [ekono’miːa]
auru(m) > òro [‘ɔːro] caūsa(m) > còsa [‘kɔːza] laūde(m) > lòde [‘lɔːde]
Evoluzione del vocalismo atono
Siccome le vocali atone non hanno una funzione distintiva, come per le toniche, tendono a essere neutralizzate in un timbro medio. Le vocali pretoniche e postoniche /i/ e /u/ tendono a scomparire: dal lat. matutīnu(m) > mattino; torcŭlu(m) > torclu > tòrchio.
Consonanti
In italiano, cioè dal volgare alla variante fiorentina e poi all’italiano standard si hanno questi mutamenti:
Caduta delle consonanti finali -M, -S, e -T.
Comparsa di fonemi nuovi che non esistevano in latino: ##dai nessi -GN- e -NI- sorge /ɲ/ raddoppiato: lĭgnu(m) > legno /’leɲɲo/; stāgnu(m) > stagno /’staɲɲo/
dal nesso -LI- evolve in /ʎ/ raddoppiato: talĕare > taliāre > tagliare /taʎ’ʎare/; palĕa(m) > palia > paglia /’paʎʎa/
dal nesso -TI- dà /ʦ/ raddoppiato (tra vocali): natiōne(m) > nazione /naʦ’ʦjone/; sapientĭa(m) > sapienza /sa’pjɛnʦa/
Palatalizzazione in /ʧ/ e /ʤ/ delle velari /k/ e /g/ davanti alle vocali /e/ e /i/ rispettivamente: caelu(m) > cièlo /’ʧɛ:lo/; gēlu(m) > gèlo /’ʤɛ:lo/
Assimilazione di due consonanti diverse: ##pt diventa tt: scriptu(m) > scritto; sēpte(m) > sette
ct diventa tt: ŏcto > òtto
mn diventa nn: alūmnu(m) > alunno
gd diventa dd
x diventa ss: Naxu(m) > Nasso
ps diventa ss: ĭpsu(m) > esso
La semivocale o semiconsonate /j/: ##I nessi consonante + /l/ evolvono in consonante + /j/: *plăttu(m) > piatto /’pjatto/; flōre(m) > fiore /’fjo:re/; blada(m) > biada /’bjada/
Fa rafforzare la consonante precedente: dŭplu(m) > doppio /’doppjo/; nebŭla(m) > nebla > nebbia /’nebbja/; rabĭa(m) > rabbia
In posizione iniziale /j/ di dittongo muta in /ʤ/. In posizione intervocalica viene raddoppiato. iudĭce(m) > giudice /’ʤudiʧe/; iŭgu(m) > giogo /’ʤo:go/; pēiu(s) > peggio; baiŭlu(m) > baggiolo /’baʤʤolo/
Il lessico del latino volgare
Un confronto sul piano lessicale tra lingue romanze è spesso utile per cercare di ricostruire retrospettivamente alcune forme del latino volgare. Si parla di forme “ricostruite”[5] quando queste non siano attestate in letteratura ma la loro esistenza è ritenuta probabile. Ad esempio, il latino classico putēre (“puzzare”) potrebbe avere originato pūtiu(m), da cui il moderno italiano puzzo.[6] Una porzione di lessico del latino volgare rappresenta una evoluzione rispetto al latino classico. Ad esempio, testa(m), da cui origina il moderno italiano testa, ha sostituito il latino classico caput. È probabile che nel parlato il caput venisse indicato scherzosamente con altri termini cavati metaforicamente dal linguaggio delle cose quotidiane (così come si dice oggi coccio o zucca); testa(m) era originariamente “vaso di terracotta”: via via la venatura ironica scomparve e caput sopravvisse come capo solo in certi contesti dotti.[6] Un altro esempio riguarda la parola fuoco: in latino classico abbiamo ignis, mentre fŏcus indicava solo il focolare domestico[7]. Quanto a casa, in latino classico si indicava con questa parola una baracca, una casa di campagna: dŏmus sopravvive nell’italiano moderno duomo[8].
Latino classico | Latino volgare | Italiano
albus blancus bianco
bellum guerra guerra
cogitare pensare pensare
cruor sanguis sangue
domus casa casa
edere manducare mangiare
emere comparare comprare
equus caballus cavallo
felis cattus gatto
ferre portare portare
hortus gardinus giardino
ignis focus fuoco
ludere jocare o iocare giocare
magnus grandis grande
omnis totus tutto
pulcher bellus bello
os bucca bocca
scire sapere sapere
sidus stella stella
Note
1.^ Villa, cit., pp. 7-8.
2.^ Villa, cit., pp. 8-9.
3.^ Luca Serianni e Giuseppe Antonelli, Manuale di linguistica italiana. Storia, attualità, grammatica, ed Pearson Italia-Bruno Mondadori.
4.^ Per approfondire, vedi il testo integrale dell’Appendix Probi.
5.^ Le forme ricostruite vanno indicate con un asterisco: ad esempio, *pūtiu(m).
6.^ a b Marazzini, 2004, cit., p. 40.
7.^ Marazzini, 2004, cit., pp. 40-41.
8.^ Marazzini, 2004, cit., pp. 41.