Nel documentario sul maestro dell’eros, il racconto di un regista anarchico e geniale contro i falsi moralismi
Un genio o un provocatore? Un artista puro o un semplice pornografo? Su Tinto Brass i media hanno sprecato, negli anni, giudizi ed etichette. I riti della tv degli ultimi decenni, poi, trasformarono il cineasta veneto in un personaggio da sfruttare in chiave folkloristica. Ma la storia di Tinto Brass era un’altra.
E ci voleva un altro veneto, un giovane e talentuoso regista come Massimiliano Zanin, per raccontare la verità. Padovano, classe 1971, Zanin ha esordito all’ultimo Festival di Venezia con il documentario IstintoBrass, raccogliendo consensi e prenotandosi un passaggio al Festival di Rotterdam, il prossimo gennaio. Dal 1998 collaboratore di Brass come aiuto regista e soprattutto come sceneggiatore (in film come Tra(sgre)dire, Senso ’45, Fallo!), Zanin ha dipanato per immagini e parole – con interventi di critici come Gianni Canova e Marco Giusti, e attori come Gigi Proietti, Helen Mirren, Franco Nero – un racconto su Brass come cineasta puro, avulso da compromessi, anarchico della pellicola, sperimentatore e avversario implacabile della censura. Per chi conosce solo il Brass dei film post-La Chiave, un viaggio nella profonda cultura cinematografica del regista veneto, dalla formazione sul finire degli anni ’50 alla Cinémathèque di Parigi accanto agli eroi della Nouvelle Vague come Godard e Truffaut, all’impiego come assistente di regia di Roberto Rossellini, fino alle sue opere sperimentali anni ’60 come Il disco volante, Nerosubianco e L’urlo (cui Brass si dedicò rifiutando l’offerta di Arancia Meccanica, passato a Stanley Kubrick…).
Quella tra Brass e Zanin è stata, racconta quest’ultimo, “un’intesa artistica e umana immediata”: “Nel 1998, dopo studi di sociologia a Urbino e un corso di regia e sceneggiatura – spiega il regista padovano – approdai a Roma e partecipai a un concorso di corti erotici indetto da Brass. Fui scelto tra 600 concorrenti e cominciai la collaborazione con lui. Da Tinto ho appreso l’istinto anarchico inteso come diffidenza verso il potere: Brass utilizzava l’eros come elemento per scardinare i falsi moralismi della società. Oggi il tema che a me interessa sviluppare come cineasta è proprio la difesa delle ragioni dell’individuo nei confronti della società. Il bigottismo oggi non è più solo confinato al sesso, si estende alla pratica del politicamente corretto. Censura e auto-censura spiegano perché il cinema italiano è morto. Lo ha ucciso il conformismo, e la cronica necessità di denaro da parte dei giovani cineasti: chi dà i soldi pretende conformismo. Tinto invece era ‘contro’, aveva tutti contro: politica, censura, esercenti”. I prossimi progetti di Massimiliano Zanin (che per anni è stato ghost writer per fiction televisive) appaiono del tutto coerenti a quanto detto: “Sto valutando di portare sullo schermo la storia di un imprenditore vicentino incarcerato con l’accusa di essere un favoreggiatore della mafia, scarcerato un anno dopo perché del tutto innocente. È tratta dal libro di Diego Olivieri Oggi a me domani a te. Una riflessione sulla malagiustizia e sullo strapotere giudiziario in Italia”. C’è poi un sogno forse impossibile: “Un’utopia piuttosto – conclude Zanin – Non ho una posizione politica schierata, mi piacerebbe però realizzare un documentario in cui si raccontasse la vera versione delle feste ad Arcore e delle cosiddette Olgettine. Sarebbe come continuare la battaglia di Tinto contro i falsi moralismi, utilizzati come battaglia politica in questo paese”.