Arriva dal Sudafrica, ed è una delle più grandi scoperte di antropologia degli ultimi anni. Homo naledi, così si chiamava, era sì molto primitivo, ma con caratteristiche anatomiche molto moderne.
La famiglia, la nostra, si allarga. Una nuova specie del genere Homo è stata infatti scoperta in Sudafrica, in una caverna vicino a Johannesburg presso la Culla dell’Umanità (Cradle of Humanking), il sito famoso per averci già restituito diverse testimonianza dei vecchi parenti della famiglia. La specie di ominide è stata ribattezzata Homo naledi (naledi nella lingua locale sesotho significa stella, dalla Dinaledi Chamer – camera delle stelle – in cui sono stati rinvenuti i fossili) e gli scienziati guidati da Lee R. Berger della University of the Witwatersrand di Johannesburg hanno portato alla luce i resti di almeno 15 individui (anziani, giovani e anche bambini piccoli) della nuova specie.
Due paper pubblicati su eLife raccontano quella che è già diventata una delle più grandi scoperte di antropologia del secolo. Oltre 1.500 sono i fossili riportati alla luce e costituiscono uno dei più grandi ritrovamenti di una singola specie di ominide mai rinvenuti al mondo.
Un tesoro unico per ricostruire l’immagine del nostro nuovo antenato. Le analisi condotte dai ricercatori suggeriscono che Homo naledi possa risalire fino a 2,5-2,8 milioni di anni fa (in prossimità della nascita stessa del genere Homo), ma potrebbe essere anche molto più vicino a noi, collocandosi ad appena a 100 mila anni fa. Stabilire con esattezza quando non è facile, riferisce il New York Times, a causa della confusione nei sedimenti della caverna in cui sono stati rinvenuti i fossili e dell’assenza di resti animali che possano aiutare a datare le ossa. Anche se, secondo Chris Stringer, paleoantropologo del Natural History Museum di Londra ed autore di un commento sempre su eLIFE si dichiara “perplesso” per l’apparente mancanza di tentativi per datare Homo nedali.
Quanto ad aspetto Homo naledi è unico, assicurano i ricercatori. Un mix di caratteristiche primitive e moderne. Aveva un cervello molto primitivo, grande appena un terzo di quello degli uomini moderni sebbene con una forma piuttosto evoluta, piantato su un corpo alquanto snello.
Era alto più o meno 1,50 per 45 kg di peso e aveva mani che per alcuni specialisti ricordano quelle dei Homo habilis, suggerendo forse che anche questi ominidi avessero acquisito la capacità di usare gli strumenti. Le mani avevano dita particolarmente curvate, a suggerire che Homo naledi avesse delle ottime capacità di arrampicarsi, così come sembra suggerirlo la forma delle spalle, che ricorda quella delle scimmie, più vicina a quella delle australopitecine, racconta National Geographic. Anche le ossa del bacino presentano tratti alquanto primitivi.
I piedi, così come le mascelle, erano alquanto moderni, addirittura indistinguibili da noi, secondo William Harcourt-Smith dell’American Museum of Natural History, tra i ricercatori che hanno preso parte alle analisi dei fossili. Questa anatomia, insieme alle lunghe gambe, avrebbe permesso a Homo naledi di camminare (in posizione eretta) anche per lunghe distanze, secondo gli esperti. Questo mix di caratteristiche primitive e moderne è un’indicazione di quanto complesse siano le origini del genere Homo, nota ancora Stringer: “Il genero Homo potrebbe essere anche ‘polifiletico’: in altre parole, alcuni membri del genere potrebbero essersi originati indipendentemente in diverse regioni dell’Africa. Se le cose stessero così, questo significherebbe che le specie attualmente incluse all’interno del genere Homo andrebbero rivalutate”. La localizzazione dei resti, in una zona difficilmente accessibile, suggerisce che anche i primi ominidi usassero disporre i morti in zone remote, un comportamento da molti ritenuto abbastanza moderno. Via: wired