Per dimostrare la teoria sull’obbedienza distruttiva, negli anni ’60 Milgram indusse alcuni volontari a punire con l’elettroshock persone chiuse in una stanza separata. La sua storia è diventata un film.
C’è una scena, nel quarto episodio della prima stagione dei Simpsons, che è difficile dimenticare: Homer si è reso conto di far parte di una famiglia disfunzionale e, incuriosito da uno spot televisivo, decide di sottoporre l’intera famiglia a una terapia sperimentale che, sostanzialmente, consiste nel somministrarsi a vicenda scariche elettroconvulsivanti.
Chiunque abbia seguito le repliche dei Simpsons negli ultimi vent’anni sicuramente ricorderà quell’episodio. Quello che però molti non sanno è che quella “terapia” prendeva ispirazione dal lavoro di Stanley Milgram, ideatore di uno degli esperimenti di psicologia sociale più controversi della storia e ora rievocato in Experimenter, in uscita nelle sale americane il prossimo 16 ottobre .
Siamo nel luglio 1961, Stanley Milgram ha ottenuto un Ph.D. in Psicologia Sociale a Harvard e lavora come assistente nel Dipartimento di Relazioni Sociali di Yale. Sono passati solo tre mesi da quando Adolf Eichmann ha testimoniato al Processo di Gerusalemme definendosi come un “grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini dei gerarchi importanti”, e le dichiarazioni del nazista hanno stupito Milgram a tal punto da indurlo a progettare un esperimento che esplori le dinamiche psicologiche dell’obbedienza.
L’esperimento di Milgram richiede la presenza di almeno tre persone: uno psicologo, un volontario e un attore che impersoni un finto volontario. Ognuna di queste persone ha un ruolo: c’è Lo Sperimentatore (che rappresenta l’autorità), l’Insegnante (colui che esegue gli ordini dello Sperimentatore) e infine l’Allievo (la persona soggetta alle decisioni dell’Insegnante). All’inizio dell’esperimento l’Insegnante e l’Allievo vengono posti in due stanze separate, l’Insegnante ha a disposizione una serie di bottoni, mentre l’Allievo è collegato a un macchinario per la somministrazione di elettroshock. Quando lo Sperimentatore dà il via, l’Insegnante comincia a leggere una serie di coppie di parole, dopodiché riprende a leggere la prima parola di ogni coppia e chiede all’Allievo di completarla con la seconda: se l’Allievo indovina, l’Insegnante passa alla coppia successiva , se invece sbaglia, lo Sperimentatore sprona l’Insegnante a somministrare una scarica elettrica all’Allievo.
In realtà, è tutta una finta: il macchinario non è in grado di somministrare elettricità e l’Allievo non riceve alcun elettroshock. Prima dell’esperimento, all’Allievo è stato chiesto di registrare lamenti, urla e implorazioni su un nastro, che ora viene attivato automaticamente in modo che , ogni volta che preme il bottone, l’Insegnante abbia la percezione di stare causando una sofferenza reale all’altro “volontario.” Di tutto questo l’Insegnante – ossia la vera cavia dell’esperimento – è all’oscuro: gli è stato detto che dall’altra parte della parete c’è una persona inerme e che a ogni suo errore il voltaggio della scarica aumenterà, partendo da un minimo di 15 volt fino a un massimo di 450 (per capirci, la controversa terapia elettroconvulsivante sviluppata negli anni ’30 da Ugo Cerletti e Lucio Bini utilizzava scariche dell’ordine di 130 volt).
Man mano che il voltaggio cresce, l’attore che impersona l’Allievo comincia a urlare, a battere i pugni contro la parete, a lamentarsi dei propri disturbi cardiaci, inducendo così l’Insegnante a chiedere istruzioni allo Sperimentatore che, imperterrito, dice di continuare. Arrivati a 135 volt, molti soggetti chiedono di poter interrompere l’esperimento, ma una volta ottenuta dallo Sperimentatore la rassicurazione che nessuno li riterrà responsabili delle eventuali conseguenze, riprendono a leggere le coppie di parole e a somministrare punizioni.
Prima di iniziare l’esperimento, Milgram aveva condotto un sondaggio su un centinaio di colleghi psicologi, la maggior parte dei quali si era dichiarata sicura che solo una piccola percentuale (non oltre il 4%) dei soggetti testati avrebbe continuato a somministrare scariche oltre un certo voltaggio. Quando nel 1963 Milgram pubblicò i risultati dell’esperimento, in un articolo intitolato Behavioral Study of obedience, la percentuale di soggetti che avevano somministrato punizioni da 450 volt superava il 60%.
Di fatto, nell’esperimento di Milgram nessuno era stato vittima di vere torture, ma la scelta di tenere all’oscuro i partecipanti dalle reali dinamiche dell’esperimento suscitò una vivace polemica. C’era chi sosteneva che un simile stress psicologico non era ammissibile in un esperimento scientifico, e chi invece riteneva che l’esperimento non potesse davvero fare luce sulle dinamiche della barbarie nazista, dal momento che lo Sperimentatore rassicurava continuamente il soggetto che quelle scariche non avrebbero causato danni permanenti. C’era anche chi arrivava a paragonare le pratiche di Milgram a quelle della Germania di Hitler. Il che è quantomeno curioso, dal momento che in realtà l’esperimento Milgram era stato ispirato proprio dal processo ad Adolf Eichmann, e il suo obiettivo era valutare in che misura gli uomini tendano a mettere da parte la propria coscienza morale di fronte a un ordine proveniente da un’autorità.
Naturalmente Eichmann era tutt’altro che un “grigio burocrate” – il suo feroce anti-semitismo è stato ampiamente documentato – ma a Milgram questo interessava relativamente. Il problema era un altro: in che misura la dichiarazione di Eichmann poteva avere un fondo di verità? Dopo aver replicato l’esperimento in altri contesti, e aver raccolto risultati coerenti, Milgram giunse alla conclusione che durante l’espermento i soggetti entrassero in uno “stato d’agente”, ossia si percepivano come meri agenti della volontà di un’altra persona, liberandosi così da ogni responsabilità.
“Persone ordinarie che si limitano a svolgere un lavoro,” scrive Milgram nel libro del 1974 Obbedienza all’Autorità, “senza provare per parte loro alcuna particolare ostilità, possono diventare agenti in un terribile processo di distruzione. Inoltre, anche quando gli effetti distruttivi del loro lavoro diventano palesi, e viene loro chiesto di compiere azioni incompatibili con le basi fondanti della moralità, relativamente poche persone hanno le risorse necessarie per resistere all’autorità.”
Nell’arco della sua carriera, Milgram firmò diversi altri studi, come la Teoria del Mondo piccolo e gli esperimenti sui Cyranoidi, ma il regista Michael Almereyeda, ha comprensibilmente scelto di incentrare Experimenter sul suo Esperimento dell’Obbedienza. Questo gli ha consetito di allontanare la lente di ingrandimento dalla vita dello psicologo americano, per concentrarla sui pericoli insiti nel controllo autoritario e nelle forme di obbedienza acritica.
Da questo punto di vista, Experimenter è forse la pellicola più incisiva dai tempi de L’Onda, che a sua volta era basato su un fatto reale: l’esperimento organizzato nel 1967 da un professore di storia americano, Ron Jones, che nel giro di soli sette giorni riuscì a trasformare una classe di studenti normali in un manipolo di squadristi invasati. Via: wired