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I volenterosi carnefici di Hitler

“Voi che vivete sicuri, nelle vostre tiepide case
voi che trovate, tornando a sera, il cibo caldo e visi amici
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.

Considerate che questa è una donna
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricorda,
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno

Meditate che questo è stato
vi comando queste parole
scolpitele nel vostro cuore
stando in casa, andando per via
coricandovi, alzandovi,
ripetetele ai vostri figli

O vi si sfascia la casa, la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi”

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In questa poesia, che funge da introduzione per il suo libro “Se questo è un uomo”, Primo Levi invita il lettore a ricordare con determinazione quanto è accaduto ad Auschwitz nel corso della Seconda Guerra Mondiale, contro qualsiasi negazionismo che possa portare alla ripetizione di una simile catastrofe.
Nel libro “i volenterosi carnefici di Hitler” lo storico statunitense Daniel Jonah Goldhagen prova a fare una analisi della struttura mentale delle persone che parteciparono a questa “operazione di sterminio legalizzata”, enunciando l’idea della colpa collettiva.
In sostanza, nel libro suddetto, i tedeschi ordinari vengono definiti come “volenterosi carnefici” (da cui il titolo del testo) perché sostenevano l’idea della distruzione degli ebrei non per via di pressioni esterne, ma perché, contaminati da un antisemitismo secolare, erano convinti che gli ebrei fossero un virus malefico da eliminare assolutamente.
Questo libro, a parere di chi scrive questa recensione, ha diversi pregi e molti difetti (in gran parte ascrivibili alle origini ebraiche dell’autore e al suo essere il figlio di uno scampato a questa tragedia).
Uno dei pregi di questo libro è il sottolineare con forza che Hitler non poteva ammaliare le folle solo col suo carisma, per quanto indiscusso, (ricordiamo che riuscì a colpire un uomo colto come Albert Speer, che divenne poi l’architetto del Reich) e che le sue idee fecero presa in un popolo devastato da una crisi economica e politica senza precedenti, terreno fertile per la resurrezione di pregiudizi atavici e insensati.
Goldhagen, inoltre, sottolinea anche il ruolo non solo delle SS, ma anche uomini e donne che vedevano negli ebrei la causa di ogni male che aveva colpito la Germania.
Tuttavia, secondo me, il testo tace su molte cose.
Le teorie di Goldhagen, infatti, pur avendo il pregio di sottolineare la non passività delle masse dinanzi all’antisemitismo, malgrado le intenzioni moralmente condivisibili dell’autore, arrivano a colpevolizzare un popolo intero “solo perchè tedesco” di una delle più grandi tragedie che la storia ricordi.
E questo non solo stigmatizza il popolo tedesco in quanto tale (dimenticando i vari tedeschi che arrivarono a rischiare la pelle per salvare gli ebrei. Un esempio è Albert Goering, fratello del più conosciuto Herman Goering, capo della Luftwaffe e importante gerarca), ma, paradossalmente e contro le intenzioni dell’autore, diminuisce la portata morale delle loro colpe.
La teoria della “colpa collettiva” infatti potrebbe consentire ad un qualsiasi individuo colpevole di pararsi dietro l’entità anonima della società, che lo invitava ad agire in un determinato modo.
Tale teoria, infatti, venne contestata aspramente da Simon Wiesenthal, che non ha mai fatto mistero di cercare i criminali nazisti non perché “tedeschi, austriaci o chissà cosa”, ma perché “la colpa è individuale, non un fatto collettivo.”
Goldhagen, inoltre, esagera con il definire i tedeschi “volenterosi carnefici”, perché la componente dittatoriale, per sua natura, implica una punizione anche violenta contro qualsiasi deragliamento dall’ordine costituito, come evidenziano i casi dell’ammiraglio Canaris e di Goerdeler, che pagarono duramente la loro opposizione al regime. (lo stesso Albert Goering per proteggere gli ebrei si è servito molto della protezione del suo potente fratello gerarca)
Inoltre, cosa ancora più grave, Goldhagen trascura le altre categorie finite in questo terribile ingranaggio.
Dimentica che il nazismo non si focalizzava solo sull’antisemitismo, ma anche sull’anticomunismo, sulla lotta contro l’ordine democratico e su teorie come quella dell’esistenza di una “pura razza ariana” (ironia della sorte, l’uomo immagine del nazismo, leggi Reinhard Heydrich, aveva antenati ebrei) che doveva essere purificata non solo da elementi estranei come il giudaismo, ma anche dalla presenza di quegli individui portatori di tare ereditarie.
Inoltre, il “concetto” di malattia mentale, all’epoca del nazismo, non comprendeva solo i malati mentali autentici, ma anche individui che, per le loro origini dubbie o le loro idee, erano costretti alla sterilizzazione coatta e poi uccisi in quello che sarà noto come “progetto AKTION TF4” contro cui si scagliò Von Galen.
In sintesi, il testo dello storico americano contiene ottime intuizioni (e anche una buona analisi dell’antisemitismo dai primi secoli dell’età cristiana fino al XX secolo), ma è viziato dalla convinzione di una sorta di “predominanza” degli ebrei in questo non poco invidiabile computo e dalla convinzione di una sorta di colpa dei tedeschi in quanto tali, che può rivelarsi portatore di altri errori che possono portare ad una nuova catastrofe come il razzismo.

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Written by Zahira

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