Nella mia lunga esperienza di lettrice e scrittrice amatoriale (con una vaga speranza professionistica), ho assistito ad una esplosione di ignoranza che pretende di passare per sapienza.
Questa ignoranza si manifesta in errori di battitura (“riberberava” in luogo di “riverberava”, scritto tra l’altro dalla autrice dell’articolo) perdonabili, essendo notoria la possibilità che un errore sfugga durante la scrittura, errori di grammatica bravi (“me l’ho dicevano” al posto di “me lo dicevano”, “c’è ne” al posto di “ce n’è”), errori sintattici, errori di impostazione delle figure retoriche ed errori causati da ignoranza palese e manifesta.
Il primo gruppo di errori (che possono essere più o meno marchiani) necessita solamente di diverse riletture dell’elaborato. (ed è una cosa che dovrebbe fare anche l’autrice dell’articolo, che tende a non correggere mai quel che scrive, anche se, per sua fortuna, non fa quasi strafalcioni sgradevoli)
Il secondo gruppo di errori ha bisogno di una cura assai più profonda di una rilettura, che si può riassumere in quattro semplici parole: ripasso dei fondamenti della grammatica.
Per esempio, una cosa che si nota in maniera agghiacciante è l’uso creativo dell’h, come esemplificato dall’errore riportato “me l’ho dicevano”, in luogo del più comune “me lo dicevano”.
L’h va messa dinanzi alla a (o alla o) quando c’è necessità dell’uso del presente del verbo avere (a parte I e II plurale) e del passato prossimo.
Se io scrivo la frase “sono andata a Napoli” l’h NON va perché si esprime un complemento di moto a luogo, mentre se io scrivo la frase “io ho delle perle” l’h serve perché esprime possesso.
La stessa regola, anche se con declinazioni diverse, vale per le differenze tra “anno” e “hanno” e tra “o” e “ho”.
Un altro errore che spesso viene commesso riguarda la “è” accentata, che spesso viene piazzata dove non serve (non la posizione degli accenti, perché riconosco che è piuttosto arduo parlare di accento acuto e grave e io stessa sbaglio).
La “è “ accentata viene usata in frasi come “lei è caduta dalla bicicletta” (in funzione di copula nel predicato nominale o di verbo essere, anche nelle forme composte), mentre la “e” non accentata viene usata come congiunzione coordinante, in frasi come “io e Elena siamo amiche”.
Altro esempio di grammatica creativa è il “gli” usato come complemento di termine anche in forme femminili o plurali. (“dagli le rose”, riferito al femminile o al plurale fa rabbrividire).
“Gli” indica il complemento di termine maschile, le forme corrette in questo caso sarebbero “dalle le rose” e, in caso di plurale “da’ loro le rose” (anche contro l’opinione dell’Accademia della Crusca).
Anche il “ce n’é” è spesso soggetto di capitomboli linguistici, con forme alquanto simpatiche come “c’è ne”.
Come rimediare? Ricordandosi che “ce n’è” è la forma contratta di “ce ne è” (la “e” del ne cade perché il verbo essere inizia per vocale).
Un altro errore è il variare dei tempi verbali, che sembra a momenti avere l’escursione termica presente nel deserto del Sahara.
Cosa si può dire qui? Quando si scrive col presente, occorre continuare col presente, mentre quando si usa il passato remoto è necessario proseguire col passato ( nel caso di flash back l’autrice dell’articolo consiglia il trapassato prossimo, nel caso la storia sia scritta con il passato, il passato prossimo nel caso sia scritta col presente).
Ce ne sarebbero altri di errori grammaticale, ma questi sono alcuni dei più vistosi che mi è capitato di ritrovare.
Nel caso di errori sintattici (periodi ipotetici in piedi per miracolo divino e cose simili) ho solo un consiglio: scrivere principalmente frasi brevi.
In questo modo gli errori dovuti ad una scorretta conoscenza dell’analisi del periodo si riducono di un buon 45%.
Ma il gruppo di errori più ricco di perle è quello di errata impostazione delle figure retoriche.
Occorre una premessa: le figure retoriche sono espedienti che, se ben usati, permettono di ottenere un testo più ricco (ovviamente dietro di esse ci deve essere un testo creativo, altrimenti si rischia di ottenere l’effetto Marino, che sembra solo divertirsi nello sfoggio della sua esuberanza verbale).
Ma scrittori amatoriali inesperenti, ansiosi di ottenere un riconoscimento, le usano spesso in maniera inappropriata, con risultati comici che spezzano l’armonia di una intera storia.
E vittima di questo scempio è molto spesso la tanto vituperata metafora (a causa di certi scrittori incapaci ora scrivere usando le metafore in molti casi è diventato segno negativo).
Per parlare di questo comincerò con un esempio aulico:”cuore di cervo”, tratto dai primi passi dell’Iliade.
Qui si evidenziano molto bene la caratteristica portante della metafora, definita dai latini “similitudo brevior”, ossia una relazione tra l’oggetto di cui si parla e quello con il quale viene fatta la comparazione.
Nel caso dell’esempio sopra riportato, Achille, con supremo disprezzo, sottolinea la vigliaccheria del cuore di Agamennone, paragonandolo a quello di un cervo, animale preso ad esempio della codardia.
Per creare metafore credibili e non comiche, occorre quindi avere la coscienza di informarsi e di non andare ad assonanze, perché si rischia di richiamare alla mente una parola che nulla ha a che fare con ciò di cui in teoria si sta parlando.
Mi spiegherò meglio con un esempio riportatomi da un amico e tratto dal fandom di Naruto: si sta parlando dei capelli di Kisame Hoshigaki e li si definisce “color zafferano”.
Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che il personaggio ha i capelli blu scuro e il fiore dello zafferano è viola, mentre la spezia è gialla.
E il potere evocativo della metafora si è perso per la poca voglia di volersi informare.
Ma l’informazione va effettuata anche ad un livello più profondo della semplice metafora, altrimenti si rischia di ottenere “l’effetto Hitler” che parla di “vipere stritolanti” (dimenticandosi che le vipere non sono pitoni)
L’informazione quindi si può definire la cura anche per il gruppo di errori creato da una ignoranza sempre più diffusa, soprattutto tra i ragazzini che si accostano per la prima volta alla scrittura (ma non sono esenti da essa anche adulti).
L’ignoranza, occorre precisare, può essere innocua (e con essa mi riferisco a scene di rapporti sessuali improbabili, descritti frequentemente da ragazzini e ragazzine inesperti) o dannosa (e qui parlo di tematiche serie trattate decisamente in maniera discutibile, come lo stupro che magicamente si trasforma ).
Un ultimo consiglio, che pure può sembrare retorico, è quello di leggere romanzi e libri sostenuti (banditi quindi libercoli come Twilight e la “saga” di “Cinquanta sfumature!) e di cercare sul dizionario le parole che non si conoscono. Così, oltre a scrivere una storia di discreta qualità, la propria cultura generale aumenta.
Perché non tentare?
Ottimi consigli, brava continua così;)