Catarsi (dal greco katharsis κἁθαρσις, “purificazione”) è un termine utilizzato per indicare la cerimonia di purificazione che si ritrova in diverse concezioni religiose ed in rituali magici che di solito prescrivevano il sacrificio di un capro espiatorio.
Utilizzo terminologico
La purificazione da una contaminazione (miasma) poteva riguardare sia un avvenimento spirituale che materiale. Nel V secolo a.C. nella medicina d’Ippocrate si definiva infatti come “catarsi” (purga) anche l’evacuazione di escrementi o di elementi ritenuti dannosi per la salute. Questa purificazione poteva essere ottenuta o con metodi naturali o con farmaci catartici. Si usava il termine “catarsi” anche a proposito della mestruazione o della potatura degli alberi [1]. Rifacendosi ai riti dell’orfismo, il concetto di “catarsi” viene inteso in senso più accentuatamente spirituale. Per il pitagorismo la “catarsi” costituiva la base dei riti ascetici celebrati al fine di purificarsi dalla materialità del corpo che poteva raggiungersi anche attraverso l’adozione di particolari diete alimentari. Anche la musica, e quindi la matematica che la fondava, per i pitagorici poteva liberare l’anima dalla irrazionalità delle passioni.[2]
In ambito filosofico
Nella filosofia e nel linguaggio religioso occidentale la catarsi ha assunto tuttavia un significato simbolico, e spesso soltanto spirituale, a partire da Platone nella cui filosofia il termine si riferisce alla purificazione dell’anima dai mali interiori.
Catarsi e conoscenza in Platone
Per Socrate la catarsi è il risultato del dialogo, quello condotto, come scrive Platone, secondo le regole dell’arte della «nobile sofistica» [3] che con uno stringente susseguirsi di brevi domande e risposte porta alla purificazione, alla liberazione da quelle croste dell’ignoranza presuntuosa che crede di possedere saperi definitivi. Platone intende per “catarsi” un processo conoscitivo attraverso il quale ci si libererebbe dalle impurità dello spirito memori dello stato di purezza originaria, quello del mondo delle idee dove domina il Bene.[4] Più precisamente nel Fedone [5], Platone utilizza questo termine per indicare in che senso vada inteso l’imparare a morire del filosofo che con la liberazione dell’anima dalle passioni più materiali, miranti a soddisfare egoisticamente il proprio io, possa aprirsi alla prospettiva della phronesis (saggezza). Il momento catartico inizia con la periagoge (conversione), con il liberarsi cioè, dalle catene che permette al prigioniero di rivolgere lo sguardo oltre il senso comune e poi di uscire dalla caverna. In questo modo il termine assume una funzione centrale nella filosofia di Platone e nel processo di cura di sé in quanto si riferisce alla purificazione non tanto dal corpo, ma dagli eccessi del corpo e da ciò che impedisce la vita secondo aretè (virtù), una purificazione che porta al risveglio dal modo di vivere letargico.[6][7]
La catarsi tragica
Aristotele
Mentre nella Politica Aristotele aveva trattato della catarsi generata dalla musica che induce alla meditazione, alla riflessione e che libera dalle cure quotidiane, nella Poetica descrive la catarsi come il liberatorio distacco dalle passioni tramite le forti vicende rappresentate sulla scena dalla tragedia. Aristotele, che intende la tragedia quale mimesi, imitazione, della realtà, ne sottolinea l’effetto di purificare, sollevare e rasserenare l’animo dello spettatore da tali passioni, permettendogli di riviverle intensamente allo stato sentimentale e quindi di liberarsene. Questa è una interpretazione di tipo psicologico della non ben chiarita catarsi aristotelica, che si affianca all’altra che sostiene che lo spettatore, attraverso la rappresentazione di vicende che suscitano forti emozioni, prova pietà per gli avvenimenti che travagliano i protagonisti del dramma e terrore all’idea che anche lui potrebbe trovarsi in situazioni simili a quelle rappresentate. La pietà e il terrore saranno risolti catarticamente nello spettatore nel momento in cui il dramma si scioglierà in una spiegazione razionale dei fatti narrati. Un’interpretazione del tutto nuova e originale è stata data da Carlo Diano nel saggio La catarsi tragica. Attraverso una lunga e profonda analisi filologica di testi e fonti, Diano scioglie il nodo che il senso della catarsi tragica ha costituito per molti secoli. La catarsi tragica altro non è che un aspetto della techne alypias, quella praemeditatio futurorum malorum già praticata dai Cirenaici. Dunque, una tecnica per avvezzarsi a sopportare i mali e il dolore che potranno colpire in futuro.
La catarsi estetica
L’angoscia e le emozioni finte, che cioè non derivano da situazioni reali, che si provano assistendo alla tragedia rappresentata sulla scena, si trasformano nel piacere dello spettacolo che procurerà una purificazione del simile con il simile, una liberazione delle passioni proprie dello spettatore con le passioni rappresentate. È quest’ultima un’ulteriore interpretazione della catarsi, quella estetica, legata al piacere, svincolata da ogni partecipazione sentimentale alle passioni drammatiche. Lo spettatore cioè non si purifica delle sue emozioni vedendo degli esempi edificanti ma è lo stesso dispositivo teatrale, lo spettacolo in sé che purifica l’uomo dalle passioni. «Noi proviamo piacere a vedere le immagini le più precise delle cose la vista delle quali è dolorosa nella realtà, come gli aspetti di animali i più ripugnanti e dei cadaveri».[8] Per esempio lo spettatore sarà terrorizzato nel vedere una madre che massacra i propri figli, come fa Medea nell’omonima tragedia, ma egli vedrà lo spettacolo con piacere poiché sa di provare emozioni fittizie determinate dallo stesso spettacolo, ciò è un buon esempio di catarsi attuata.
Catarsi in ambito fenomenologico
Nella fenomenologia di Husserl la riduzione è stata intesa prevalentemente come un procedimento conoscitivo volto a mettere fra parentesi tutto ciò che si conosce per limitarsi alla struttura stessa con cui la coscienza conosce. Altrettanto la riduzione eidetica si configura come una riduzione “conoscitiva” volta a cogliere l’invarianza eidetica. A differenza di Husserl, fra il 1911 e il 1916 Scheler sviluppa un concetto di riduzione inteso come purificazione dal proprio egocentrismo per riuscire a posizionarsi nel mondo in un diverso modo. Qui la riduzione non ha più un carattere “conoscitivo”, ma si traduce in una conversione filosofica, in una trasformazione concreta del proprio modo di vivere che richiama la tematica platonica della katharsis, e che assume il significato di una purificazione dalle storture egocentriche capace di riportare a un riequilibrio della sfera affettiva e all’emergere di aree affettive altrimenti destinate all’atrofizzazione. Se in Platone la katharsis è purificazione dagli eccessi pulsionali, in Scheler è prima di tutto messa fra parentesi della prospettiva egocentrica: è una purificazione che permette il passaggio dalla sfera del senso comune dominante a quella, altrettanto empirica, dell’apertura al mondo. In questa prospettiva il processo catartico è il punto di partenza per qualsiasi processo di trasformazione dell’individuo come della società [9].
La catarsi in ambito psicoterapeutico
«Ho descritto così frequentemente e con tale dovizia di particolari la fase successiva dello sviluppo, e cioè il passaggio dalla catarsi alla psicoanalisi vera e propria, che mi sembra difficile poter dire qui qualcosa di nuovo[10]»
In un’epoca più vicina alla nostra, il termine “catarsi” è stato ripreso da Sigmund Freud e Joseph Breuer nel 1895, negli Studi sull’isteria, per indicare la liberazione di emozioni in pazienti ansiosi, grazie al recupero di particolari pensieri o ricordi biografici. I due studiosi avevano a quel tempo chiamato il procedimento da loro utilizzato, appunto “metodo catartico”. Nell’accezione psicoanalitica, ma anche nello psicodramma di Jacob Levi Moreno, nelle recenti psicoterapie espressive, nell’arte-terapia, nonché nel Rebirthing, il termine “catarsi” viene utilizzato sempre con il significato di “scarica, sfogo, espressione, liberazione”. Nello psicodramma e nelle arti-terapie, attraverso la rappresentazione, la persona può contattare e comprendere gli aspetti più profondi della sua realtà psicologica ed esistenziale.
Note
1^ Domenico Arturo Nesci, La notte bianca: studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo.
2^ Dizionario di filosofia.
3^ Così la definisce lo “Straniero di Elea” personaggio del dialogo platonico del Sofista per distinguerla dalla eristica, l’arte del contendere a parole.
4^ Voce corrispondente in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano 1981.
5^ Platone, Fedone, 67 a, 69 b-c
6^ Guido Cusinato, Katharsis.
7^ G. Cusinato, Periagoge. Teoria della singolarità e filosofia come cura del desiderio.
8^ Aristotele, Poetica.
9^ G. Cusinato, Katharsis.
10^ Sigmund Freud, Autobiografia, traduzione di Renata Colorni in Opere vol. 10.