Perché non usiamo più i numeri romani?
“Dal documento che ho scaricato: Talvolta si vedono i numeri romani sui quadranti degli orologi che, incidentalmente, quasi sempre mostrano il numero quattro come IIII invece del tradizionale IV. (Vi siete mai chiesti perché?).
Io me lo sono chiesto ma nessuno mi ha dato risposta, e nemmeno qui c’è.”
Per poco, Alberto, perché i miei cari amici e preparatissimi collaboratori, Aldo Bonet, Maria Intagliata, e Gaetano Barbella, non hanno perso tempo nel fare pervenire le loro interessanti risposte, che riporto di seguito.
“La domanda di Alberto potrebbe trovare risposta nel Libro di Georges Ifrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, 1984, da pag.153 a pag 167, e grazie agli studi di Lucien Gerschel, nel Capitolo: L’origine delle cifre romane, trova risposta nella pratica primordiale dell’intaglio: “l’oscura questione non lascia ormai dubbi: i segni I, V e X sono di gran lunga i più antichi della serie” e per capirlo bisogna preliminarmente fare un “giro del mondo” attraverso le ere e le civiltà.
Già ai tempi dei Fenici, Aramei occidentali e i Lidi il 4 lo incidevano con uno spazio distaccato per distinguerlo dal tre, questo per ragioni di distinzione percettiva che l’acuità visiva poteva giungere e confondere le due cifre consecutive, ovvero, il 3 con l’intaglio III e il 4 con l’intaglio IIII così questi antichi popoli pensarono di intagliare il 3 come III e invece il 4 come I III, e si pensò così di separalo con uno spazio diverso, più ampio, tra il primo intaglio e i tre successivi, e così fu anche per il 5 come II III usando la tecnica detta di “scansione ternaria”.
Si è capito solo in epoca post-romanica che l’incisione del 4 come IV anziché dell’originale romanico IIII avrebbe generato meno confusione percettiva rispetto al precedente numero 3 come III e in consecutivo V, nonostante si ritrovi ancora, in antichi orologi, il 4 come IIII inciso senza scansione ternaria come lo continuavano a scrivere nella numerazione classica Romana, la più remota, così come lo scrivevano pure gli Egizi, i Cretesi, nell’Arabia meridionale antica, nell’Asia minore, gli Etruschi e altri popoli.
“La notazone IIII è più antica: di epoca prettamente romana, mentre IV, quella usata tuttora, è di epoca medievale.
Credo che il passaggio da una notazione all’altra sia stato dovuto esclusivamente a motivi pratici, per usare un minor numero di volte lo stesso simbolo, come ad esempio VIIII= IX…
Da solamente additivo il sistema di numerazione romano, nel medioevo, è diventato additivo-sottrattivo.
Sinceramente non conosco altre motivazioni, …può darsi che ci siano!
“La vera ragione per la numerazione è un mistero, l’uso dell’IIII invece dell’IV ritorna almeno ai tempi di romani.
Perché usare IIII?
Alcune teorie sull’uso della numerazione romana.
La ragione più probabile per si usa il IIII è che se si guarda ad un quadrante, l’otto è scritto VIII.
Per dare simmetria, i 4 furono scritti come IIII. Così ambo i numeri hanno quattro cifre.
Oppure un motivo può essere dato dal fatto che usando IIII avremmo un quadrante che ha quattro indicazioni dell’ora che usano un I; quattro indicazioni che usano un V e quattro indicazioni che usano un X.
Non tutti gli orologi usano comunque, l’IIII. Alcuni orologi, trai i quali il famoso Orologio della Torre di Westminster, il Big Ben, usano l’IV.
Altre possibili ragioni possono essere:
– Che infatti i romani stessi fin dai primi secoli dopo Cristo usarono il IIII e quel IV è un “Tardo cambio Latino”.
Numerosi monumenti classici romani usano la forma di IIII sulle loro incisioni.
Se noi accettiamo come fatto la realtà che il romano antico preferisca davvero l’uso di IIII ad IV per numerare (ci sono molti esempi in più musei su statue e gli altri manufatti), noi abbiamo bisogno di trovarne una motivazione.
La ragione probabilmente era di natura religiosa. Si tenga presente il fatto che in latino antico (i.e.: 2000 anni fa), la lingua (e gli intagliatori che fanno ecc. statue) usava quello che noi riconosceremmo come un “V” per un “U”, e “I” per quello che noi ora chiamiamo “J.”
Il nome del dio Giove romano, quando scritto in latino, comincia con IV, e sembra che sarebbe stato considerato blasfemo usarlo come un mero numero.
-Il libro Case di Orologi Famose di Elena Introna & Gabriele Ribolini cita questo: da pagina 42″… curiosamente su tutti i quadranti con numerali romani il numero 4 è scritto IIII e non IV. Pratica abbastanza comune oggi, ma la ragione per questo ritorna a 1364 quando il Carlo V sgridò un orologiaio che scrisse IV su un orologio di torre.
L’orologiaio, Enrico De Vick dibattè il suo caso, ma il Re rispose bruscamente: “Io non ho mai torto” e così IV doveva divenire IIII.”
– La ragione è puramente pratica. L’uso quattro I invece di IV per i “quattro” è dovuto al processo di costruzione dei componenti i numeri.
Da quando i numeri furono fatti in metallo, si ha bisogno di 20 barrette a forma di I, 4 V, e 4 X, numeri pari per ogni simbolo, se si usano usa quattro I per “quattro.”
La fusione produrrebbe una lunga verga con 10 I, 2 V, e 2 X su ogni lato.
Perché usare IV?
La forma di IV entrò pratica di orologeria alla fine del 17mo secolo quando alcuni creatori (Knibb, trai più noti) fecero degli orologi con “suoneria Romana” un tipo di suoneria in cui c’erano una grande campana ed una piccola campana.
La grande campana “indicava” il cinque dei numeri romani. La suoneria in pratica suonava “leggendo” la numerazione romana.
Quindi il quattro scritto “IV” sarebbero un colpo sulla piccola campana seguita da un colpo della grande campana (cinque meno uno, ecc.).
Questo finisce per richiedere molti meno colpi per dire dell’ora nel corso di un giorno; (con il quattro scritto IIII i colpi sarebbero stati quattro) quindi l’orologio potrebbe funzionare per più lungo, o meglio, ecc. Tutti gli orologi con suoneria Romana autentici hanno la numerazione IV sul quadrante.”
IIII contro IV
La notazione dei numeri romani ha variato con i secoli. Originalmente, era comune usare IIII per rappresentare quattro, perché il dispositivo di venipunzione ha rappresentato Dio romano Jupiter, di cui il nome latino, IVPPITER, comincia con IV. notazione subtractive (che utilizza il dispositivo di venipunzione anziché IIII) è stato usato universalmente soltanto nei periodi moderni. Per esempio, Forme di Cury, un manoscritto da 1390, usa IX per nove, ma IIII per quattro. Un altro documento nello stesso manoscritto, da 1381, usa il dispositivo di venipunzione e IX. Un terzo documento nello stesso manoscritto usa IIII, IV ed IX. Costruzioni come IIIII per cinque, IIX per otto o VV per 10 inoltre sono stati scoperti. Notazione Subtractive è risultato da uso latino normale: il numero 18 era duodeviginti o “due da venti„; il numero 19 era undeviginti o “uno da venti„. L’uso della notazione subtractive ha aumentato la complessità di effettuazione Aritmetica romana, senza trasportare i benefici di un pieno notazione posizionale sistema.
Inoltre, su alcune costruzioni è possibile vedere MDCCCCX, per esempio, rappresentare 1910 anziché MCMX – considerevolmente Arco di Ministero della marina in Londra. La costruzione del capo dentro Cleveland, Ohio, al angolo del viale superiore e della via di E.6th, è MDCCCCXII contrassegnato, rappresentante 1912. Un altro esempio notevole è sopra Scuola medica de Harvard’s Gordon Corridoio, che legge MDCCCCIIII per 1904. In Dubrovnik, il Croatia, un’iscrizione commemorative che contrassegna il 1000th anniversario di coronation del re Tomislav (primo re del Croatia), compare come DCCCCXXV – MDCCCCXXV (925 -1925).
Calendari ed orologi
Facce di orologio che sono identificate usando le esposizioni IIII per quattro in punto ed IX di numeri romani convenzionalmente per nove in punto, usando il principio subtractive in un caso e non nell’altro. Ci sono molte spiegazioni suggerite per questa, vari di cui possono essere allineare:
– La forma four-character IIII genera una simmetria visiva con il VIII dall’altro lato, che il dispositivo di venipunzione non (con l’eccezione delle vigilanze e degli orologi affrontati quadrato, in cui il numero opposto è X[dubbio – discuta]).
– Con IIII, il numero di simboli sull’orologio ammonta a venti i, a quattro v ed a quattro x, in modo da i creatori dell’orologio hanno bisogno soltanto di singola muffa con una V, cinque i e una X per fare il numero corretto dei numeri per i loro orologi: VIIIIIX. Ciò è lanciata quattro volte per ogni orologio ed i dodici hanno richiesto i numeri sono separati:
V IIII IX
VI II IIX
VII III X
VIII I IX
Lo IIX e quello del IX sono 180° ruotati alle forme XI e XII. L’alternativa con il dispositivo di venipunzione usa diciassette i, cinque v e quattro x, richiedenti al creatore dell’orologio di avere varie muffe.
– IIII era il senso preferito affinchè il Romans antico scriva quattro, poiché in larga misura hanno evitato la sottrazione. (Tuttavia, nove è scritto IX sugli orologi e la notazione del dispositivo di venipunzione è ordinale piuttosto che subtractive in origine.)
– Come celebre sopra, è stato suggerito che poiché il dispositivo di venipunzione è le prime due lettere di IVPITER (Jupiter), il dio principale del Romans, non era adatto da usare.
– Soltanto il simbolo di I sarebbe visto nelle prime quattro ore dell’orologio, il simbolo di V comparirebbe soltanto nelle quattro ore prossime e nel simbolo di X soltanto nelle ultime quattro ore. Ciò aggiungerebbe alla simmetria radiale dell’orologio.
– IV è difficile da leggere inverso e su un angolo, specialmente a quella posizione sull’orologio.
– Louis XIV, il re della Francia, che ha preferito IIII sopra il dispositivo di venipunzione, lo ha ordinato i suoi clockmakers per produrre gli orologi con IIII e non il dispositivo di venipunzione e così è rimasto.
Infine, per completare la discussione con un richiamo all’ars vivendi latina s fornisce una soluzione al secondo rompicapo indicato nel post “Perché non usiamo più i numeri romani?”
“Tutti si sono dati da fare sugli innumerevoli risvolti dei numeri romani e particolarmente sul quattro espresso in due modi. Davvero notevole quanto interesse desti questo argomento sui numeri: direi una pietra miliare.
Tuttavia vengono introdotti nel testo in presentazione due rompicapo su cui si è sorvolato e che meritano di essere eviscerati, particolarmente il secondo:
XI + I = X.
Naturalmente tutti gli amici convenuti si sentono adulti e solo ai bambini sono rivolti i suddetti rompicapo. Invece no.
Ultimamente è stato pubblicato dall’amica Annarita il mio scritto Anish Kapoor – Pi greco in una scultura e introduco un dialogo fra me ed un bambino. Questi fa capire come va vista la scultura facendo un’acuta riflessione, ma senza essere abbagliato dalla luce riflessa dai due specchi concavi della scultura. Insomma due cose in una per ravvisare sette lune cui nessuno bada, dei numeri in definitiva.
Nel caso nostro, quella piccola equazione apparentemente errata, non lo è più se la si fa riflettere verso destra o viceversa.
Tutto qui e allora? Vale la pena di dare tanto risalto ad una cosa così banale?
Eppure dalle piccole cose, banali come questa, si evolve la storia umana senza far rivelare il mistero che la avvolge.
L’uomo non deve sapere, ma deve sforzarsi di arrivare a tanto. Di qui il forte bisogno di filosofare.
E cosa può accendere questo bisogno se non la meraviglia di cose come quella rilevate suol conto dei numeri romani?
Il bisogno di filosofare, secondo Aristotele, nascerebbe, appunto, dalla “meraviglia”:
«Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.»[8] , ovvero dal senso di stupore e di inquietudine sperimentata dall’uomo quando, soddisfatte le immediate necessità materiali, comincia ad interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo.
E qui ora siamo al nodo gordiano sui numeri romani, giusto sulla riflessione immaginaria concepita dall’uomo spogliato delle sue prerogative di essere adulto, rifacendomi al rompicapo suddetto.
Sorge dunque questa domanda: ai romani cosa porta la filosofia?
Per i romani la filosofia è arte di vita, afferma Cicerone. Questo è il passo in avanti. Questo, dunque è il merito dei “contare” in modo romano. “Numeri” di grande prestigio, se si considera il meraviglioso prodigio apportato dalla grandiosità dell’espasione romana.
Dal diretto contatto con il mondo greco, dopo la conquista romana del Mediterraneo, la filosofia latina, caratterizzata sin dalle origini dalla diffidenza per la speculazione pura, dalla predilezione per la vita pratica e dall’eclettismo e che trovava in Cicerone il suo rappresentante più significativo, mira ad una compenetrazione del pensiero greco con la cultura romana, diviene “arte di vita”, che viene sempre più intesa, come già diceva Platone, come “esercizio di morte”, cioè metodo di preparazione all’abbandono del mondo terreno per l’ascesa a quello intellegibile. Via: lanostramatematica