Il segreto di pulcinella delle statistiche sui crimini da pedofilia – e l’evidenza che ogni giornalista sa di non dover mai pubblicare, pena il licenziamento – è che gli omosessuali commettano questo crimine con un’incidenza rispetto ai non-gay di circa 10 a 1: ovvero ci sono dieci volte più possibilità che un omosessuale sia pedofilo rispetto a quante ce ne sono che lo sia un eterosessuale. Sono numeri statistici che riguardano gli Stati Uniti, ma non c’è motivo di credere che in altri paesi la situazione sia differente.
Inoltre, i pedofili omosessuali tendono anche ad essere molto più promiscui. Negli Usa[dati 1987], il numero medio di vittime di pedofili eterosessuali è 19,8, mentre tra i pedofili omosessuali, il numero medio di vittime è 150,2. Bruttissimo l’utilizzo dei decimali, ma vogliamo essere precisi.
E secondo lo scienziato Gordon Gallup è proprio questo indiscusso legame pedofilia-omosessualità all’origine del “naturale atteggiamento di disgusto” della popolazione normale rispetto all’omosessualità. Quel comportamento che in modo volgare e scorretto viene definito “omofobia”.
Secondo Gallup, gli atteggiamenti negativi verso gli omosessuali sono infatti una funzione della preoccupazione implicita dei genitori che l’orientamento sessuale dei loro figli possa essere influenzabile. Formulata originariamente con Susan Suarez, nel 1983, l’idea di Gallup comporta la seguente previsione fondamentale che deve essere vera, perché l’ipotesi sia valida:
Le cosiddette reazioni omofobiche, dovrebbero essere proporzionali alla misura in cui l’omosessuale è in una posizione che potrebbe comportare un contatto prolungato con bambini e / o permettere alla persona di influenzare la sessualità emergente di un bambino.
E secondo le statistiche, la non accettazione degli omosessuali risulta più elevata nei genitori, rispetto ai non genitori. Più elevata è l’intolleranza verso “pediatri gay”, rispetto a “chirurghi gay”, a conferma della tesi di Gallup: più l’attività dell’adulto omosessuale si avvicina al mondo dei bambini, meno questo è tollerato dalla comunità.
Inoltre, sempre gli stessi studi, hanno evidenziato una refrattarietà dei genitori ad affidare i propri figli ad adulti omosessuali, inversamente proporzionale all’età dei bambini.
Quindi, secondo Gallup, questa intolleranza è il risultato dell’evoluzione genetica.
Come avviene? Un comportamento evolutivamente vincente, è un comportamento che favorisce la replica genetica. All’opposto ci sono i comportamenti evolutivamente dannosi, come l’incapacità di un maschio di prevedere il tradimento delle propria partner: l’inutile investimento parentale nel figlio di un altro, invece che nel proprio figlio biologico, riduce la probabilità di riprodursi. E’ quindi un comportamento geneticamente costoso.
Ma anche un figlio gay riduce questa probabilità, perché impedisce ai geni del padre di perpetuarsi. Ecco che se il contatto con un adulto gay influenza la sessualità del bambino una volta adulto, questo darebbe un significato evolutivamente vincente alla cosiddetta “omofobia”. E spiegherebbe l’esistenza della refrattarietà della popolazione normale rispetto all’omosessualità, come frutto del successo evolutivo degli antenati che possedevano quel tratto comportamentale.
L’antenato omofobo non permetteva la vicinanza dei gay alla propria prole, evitando l’omosessualizzazione dei propri figli maschi, questo ha permesso al suo Dna di replicarsi. Tratto genetico della ‘non accettazione dell’omosessualità’, compreso.
In termini strettamente biologici, durante l’evoluzione “i genitori che hanno mostrato una preoccupazione per l’orientamento sessuale dei loro figli – ed erano quindi meno tolleranti verso la presenza di adulti omosessuali – possono aver lasciato più discendenti di coloro che erano invece indifferenti e tolleranti”. Non avendo permesso la promiscuità con adulti gay – e quindi evitato l’influenza nei loro figli – avrebbero garantito a se stessi un numero superiore di nipoti, rispetto a quella dei genitori ‘gay friedly’.
Recenti evidenze offrono una serie di supporti al modello di Gallup: gli uomini, ma non le donne, che sono stati abusati sessualmente da bambini dagli adulti dello stesso sesso hanno più probabilità di avere relazioni omosessuali una volta adulti. La maggior parte dei ricercatori ritengono che ci sia qualcosa di simile a un processo di “imprinting sessuale” che si verifica nel primo sviluppo, che può contribuire a spiegare questo, così come feticismo e parafilie .
Inoltre, l’ostinata riluttanza di bambini e adolescenti verso i gay e le lesbiche – quasi cattiveria – può essere di per sé una proscrizione adattiva alla sperimentazione del sesso omosessuale.
Quindi l’omofobia, termine errato ma che rende l’idea, lungi dall’essere una patologia, come vaneggiato dal duo comico Grasso-Boldrini, è invece un comportamento evolutivamente vincente. Non sarebbe altro che la barriera protettiva che la comunità erige tra sé e le propria estinzione.
La tesi di Gallup sull’origine dell’OMOFOBIA non è in contrasto con un prossimo argomento: l’origine infettiva dell’omosessualità. Anche se l’omosessualità avesse un’origine causata da “germi”, l’omofobia sarebbe stata comunque un tratto genetico vincente, proteggendo la prole dalla vicinanza con adulti gay portatori.
L’origine infettiva dell’omosessualità – Germ Theory – è una delle varie spiegazioni al dilemma “omosessuale”: evolutivamente parlando, l’omosessualità non dovrebbe sopravvivere come tratto genetico, perché il “gene” gay non dovrebbe perpetuarsi nella riproduzione sessuale. Ecco quindi le spiegazioni alternative a quella genetica o psichiatrica: infettiva ed epigenetica.
L’argomento è delicato, ma molto interessante, noi ci limitiamo ad analizzare i dati scientifici e le varie ipotesi, non sposiamo una delle varie tesi sull’origine dell’omosessualità. Via: voxnews