Federico Faggin racconta il suo incontro con Steve Jobs: era durissimo nel trattare e non si accordarono, ma il touchscreen fu comunque un successo.
Il fisico vicentino Federico Faggin, che negli anni ’70 ha contribuito in maniera determinante alla rivoluzione informatica con l’invenzione del microchip e del sistema touch, in occasione dell’Adriano Olivetti Day tenutosi la scorsa settimana ha svelato interessanti retroscena della sua vita professionale, come l’incontro con Steve Jobs.
Il prestigioso ricercatore ne ha parlato al Corriere della Sera, a cui ha raccontato che il numero uno di Apple era interessato al suo touchscreen, ma “voleva pagarlo una sciocchezza e pretendeva l’esclusiva”, per questo Faggin gli ha girato le spalle.
Se adesso usiamo tutti i giorni le interfacce touch e diamo per scontato che il tocco sia il metodo d’interazione più naturale quindi è merito del nostro connazionale che emigrò in Silicon Valley, fondò Synaptics e che per i suoi meriti si guadagnò anche la National Medal of Technology da Obama.
Fra i 500 brevetti al suo attivo infatti Faggin ha anche quello sul touchpad (1994), da cui è partito tutto e che ha rivoluzionato il sistema di puntamento nei computer portatili, per poi arrivare al touchscreen che è un’evoluzione della stessa tecnologia. Nel racconto di Faggin al Corriere della Sera si legge infatti che “avevamo ottenuto già il controllo del cursore con il movimento delle dita da qualsiasi punto della superficie nel pad. Con la stessa tecnologia abbiamo provato a realizzare i sensori in vetro o materiale plastico. Un sensore trasparente avrebbe permesso di navigare sullo schermo, lo avevamo previsto dall’inizio”.
La lungimiranza di Faggin era tale che fin dall’inizio mise in preventivo il touchscreen capacitivo e il multitouch, e brevettò addirittura le prime tecniche per usare i gesti: “per esempio tracciando una X sullo schermo si chiudeva il programma”.
Un lavoro eccelso, che fu notato da Apple, già in affari con Synaptics per via dei touchpad dei Mac. Faggin racconta che incontrò di persona Steve Jobs, un uomo “durissimo nel trattare, che cercava di fissare prezzi molto bassi e voleva l’esclusiva”. Fu un nulla di fatto, ma Synaptics se la cavò lo stesso perché subito dopo l’uscita dell’iPhone fornì i suoi schermi touch a tutti i concorrenti asiatici, e tutt’oggi per esempio le innovazioni figlie dei brevetti di Faggin sono diffuse su molti prodotti Samsung. Per fare degli esempi, si parla del proximity touch del GalaxyS4 e del riconoscitore d’impronte digitali del Galaxy S5.
Una storia avvincente e interessante che può essere d’esempio a molti italiani. Ma le cose sarebbero andate così anche se Faggin non fosse emigrato in Silicon Valley negli anni ’70? Probabilmente no, ma Faggin in un’intervista con il Sole 24 Ore ha spiegato la sua idea: “lasciamo che i cervelli fuggano dall’Italia e vadano a imparare dove più possono le cose che in Italia non possono imparare. Solo così potranno tornare e restituire al nostro sistema la spinta innovativa indispensabile”.
Il metodo orientale insomma, secondo cui le menti migliori vengono “spedite” in occidente a imparare per poi “tornare in patria richiamati a condizioni equivalenti di quanto avevano all’estero, per fare decollare il loro paese”. Ecco, l’ultima parte a noi manca.