Dalla Gallura a Cagliari, la Sardegna raccontata da dolci tradizionali.
Ossa di morto, coricheddos, formaggelle: nomi folkloristici apparentemente slegati tra di loro ma in realtà parte di quella frammentata e multisfaccettata realtà che è la tradizione gastronomica sarda. Raccontare la loro pasticceria è descrivere una mappa costellata di ricette che cambiano nome e a volte anche ingredienti da paese a paese, senza mai perdere punti in prelibatezza e regalando anzi il piacere di conoscere in profondità riti e tradizioni di una delle regioni più belle e misteriose – per chi abita “sul continente”- d’Italia. Dalle quasi immancabili mandorle alla saba, lo sciroppo tratto dal mosto d’uva che si trova in più di un dolce, il racconto di ingredienti, prodotti e leggende della pasticceria sarda.
Sospiri di Ozieri
I dolci che più caratterizzano la tradizione ozierese sono i suspiros, piccoli biscotti a base di mandorle, miele e acqua di fiori d’arancio. Una volta cotti, vanno passati nella glassa fatta con zucchero a velo e succo di limone, che poi indurisce e forma la caratteristica crosticina; vengono poi serviti avvolti nella carta velina. Se ne ha notizia già dal 1800, quando veniva preparato esclusivamente per i matrimoni dalle famiglie di appartenenza, mentre oggi è particolarmente diffuso anche durante le festività natalizie.
Formaggelle sarde
Questo dolce è preparato tipicamente a Pasqua e, come succede per la maggior parte della pasticceria sarda, non ha un solo nome. Possiamo infatti trovare questi dolcetti sotto il nome di Casadinas, Pardulas e, nel caso venga usata la ricotta per il ripieno, le Ricottelle. Sono in concreto dei cestini di pasta bianca impastata con lo strutto, impasto tipico della pasticceria sarda, con un ripieno di formaggio, uova, arance e zafferano.
Sebadas
Altri nomi di questo dolce sono seada, sebada, seatta, sevada, sabada, casgiulata, tutti derivati dalla parola latina sebum e legati alla consistenza untuosa di questa preparazione dolce. Diffuso in tutto il territorio regionale e principalmente dove prevale l’economia pastorale, oggi si vende tutto l’anno contrariamente a un tempo quando, tradizionalmente, veniva preparato solo per le feste pasquali. L’ingrediente principale era il formaggio fresco e solo a volte quello vaccino, che andava a riempire una pasta fatta di semola e strutto, rigorosamente fritta e condita con miele e zucchero; la forma era solitamente rotonda, mentre la grandezza poteva, e può, variare da quella di un piatto per il “formato torta” a quella più piccola per un monoporzione. La sua storia sembra essere molto antica, molte sono le testimonianze nella letteratura latina, infatti, di dolci simili. Nel Satyricon di Petronio, per esempio, è descritta una pietanza che Trimalcione offre dopo un funerale, fatto con farina e formaggio intriso di miele.
Pabassinas
Il papassinu è un dolce tipo della Sardegna, chiamato anche pabassinu, pabassino o pabassina tradizionalmente preparato in occasione della ricorrenza di Ognissanti. Sono fatti da un impasto di pasta frolla e uva passa, mandorle, noci, scorza di limone (o arancia) grattugiata e miele, e cotti al forno. Il nome deriva da papassa che in lingua sarda significa uva sultanina e sebbene come accade per molti dolci tipici ha diverse varianti, tutte legate alla singola zona in cui viene preparato, l’uva sultanina non viene mai a mancare. Nella parte meridionale dell’Isola sono aromatizzati con cannella e vaniglia, mentre al nord prevalentamente con scorze di agrumi e semi di finocchio selvatico. L’area di maggiore diffusione è la Sardegna centrale.
Gattò di mandorle
Citato in alcune opere di Grazia Deledda, questo dolce chiamato anche Catò e Gateau alla francese si presta anche a preparazioni monumentali grazie alla sua consistenza compatta. E’ di fatto un’evoluzione di antichi dolci sardi; inizialmente era fatto di ceci tostati e zucchero, mentre oggi viene preparato con mandorle, zucchero e scorza di limone. Ad Asuni, paesino in provincia di Oristano, gli viene dedicata la sagra Gattou, organizzata dalla Pro Loco nel mese di maggio.
S’aranzada Nugoresa
Questo dolce di Nuoro nasce intorno al 1886, anno in cui venne fondata la ditta di Battista Guiso, pasticcere, una delle prime a varcare i confini nazionali, esportando proprio questo dolce fion in Francia e Gran Bretagna in eleganti scatole id legno o cartone. Nei primi anni del XX secolo, inoltre, questo dolce vinse la Medaglia d’oro e il Diploma d’onore alle esposizioni internazionali di Parigi, Cannes e Marsiglia. Tipicamente invernale, a causa della presenza delle arance, e particolarmente utilizzato in occasione di matrimoni e battesimi, anche per questo dolce ci sono diverse varianti alla ricetta originale a base di buccia d’arancia, miele e mandorle.
Acciulleddi
Sono uno dei dolci tipici del carnevale, evento che in Sardegna corrisponde a una varietà gastronomica eterogenea ed estremamente differenziata a seconda della zona. Gli acciulleddi sono degli intrecci di pasta dolce tipici della Gallura, prima fritti e poi passati nel miele secondo un procedimento simile a quello degli struffoli di Natale molto diffusi nel Sud Italia. Conosciuti anche come treccine, sono preparati con un impasto a base di acqua, farina, strutto e uova; da qui si ottengono dei cordoncini di circa 1/2 centimetro di diametro che vengono avvolti su loro stessi fino a formare delle piccole “matassine”. Matassina infatti in dialetto si traduce con acciulleddo.
Savoiardi
Tra i dolci più famosi d’Italia, i savoiardi sono biscotti dolci e leggeri dalla consistenza friabile e spugnosa e con una la forma tipica di un cilindro schiacciato, con gli angoli smussati. Forma che in inghilterra è valsa a questi dolci il nome di Lady Fingers, dita di dama. Sono diffusi in tutto lo stivale, in particolar modo in Sardegna, sia come dolce a sè stante che come ingredienti di altri preparazioni di pasticceria come il tiramisù. La loro origine è incerta, alcune fonti li fanno risalire al tardo XV secolo presso la corte dei duchi di Savoia, in omaggio ad una visita del re di Francia.
Tiricche (o tiliccas)
Questi dolci tradizionali venivano originariamente preparati per festeggiare la Pasqua, specialmente nel nord dell’isola, soprattutto nella zona della Gallura e del Logudoro, oggi famosi e esportati in tutto il mondo. La ricetta ha tante varianti quante sono le zone in cui nel tempo si è diffuso il dolce, e a seconda delle zone vengono usati: il miele, le mandorle o i malli di noce, le arance, la saba di fichi d’india oppure la marmellata di arancia con caffè solubile. Il condimento originale è la saba: uno sciroppo d’uva che si ottiene dal mosto che, appena pronto, viene versato in un paiolo di rame insieme a una mezza dozzina di noci con il guscio che gli permettono di non attaccarsi al tegame. La saba è pronta quando si sarà ridotta a un terzo della sua quantità iniziale.
Torrone di Tonara
Come il torrone sia arrivato in Sardegna è ancora un mistero, ma di fatto è arrivato sull’isola secoli fa, tanto che alcune testimonianze lo collocano ad Aritzo già nella prima metà del XIX secolo. I torronai facevano parte della categoria dei “Biajantes” meglio definiti col nome di “Carrattoneris” perché per il trasporto delle mercanzie si servivano di carri trainati da buoi o cavalli. Si occupavano di vendere – e più spesso barattare- tutti i prodotti tipici della montagna. La produzione del torrone in Barbagia nasce infatti per l’esigenza di valorizzare e sfruttare prodotti come miele, noci e nocciole prodotte nelle vallate sarde. I centri produzione erano vari, ma tra i più rinomati si annoverano Aritzo e Tonara. A Tonara la produzione industriale nasce nel 1963 quando la famiglia Pruneddu, ancora oggi produttrice di torrone, compra le prime caldaie elettriche diventando, poco più di un decennio dopo, azienda leader nel settore. A loro si deve il famoso marchio del “torrone di Tonara”.
Candelaus
Il 2 febbraio si festeggia la Candelora, l’ultima delle feste invernali. Nonostante nel resto d’Italia non ci sia più una tradizione gastronomica legata a questa ricorrenza, in Sardegna vengono preparate queste particolarissime sculture caramellate raffiguranti scarpette, animali, fiori e cestini, talmente delicate e particolari da essere considerate un banco di prova per chi, tra i pasticceri, ha ambizioni artistiche. Figli dell’antica tradizione romana della calende votive, sono formati da sottilissime sfoglie di pasta che vengono arrotolate attorno a un cuore composto da pasta di mandorle lavorata con zucchero e acqua di fiori d’arancio. La pasta è consigliabile che sia lavorata con le mani sempre umide perché la forma sia perfetta. In alcune delle varianti locali all’impasto del dolce vengono aggiunte delle mandorle amare per rendere il gusto ancora più intenso.
Coricheddos
Come per i candelaus, questi dolcetti richiedono una grande manualità e una discreta vena artistica. Originariamente venivano preparati in occasione di un matrimonio e donati dalla suocera alla nuora in questa composizione: nove grandi “coros” circondati da tanti cuoricini, sempre in numero dispari e in quantità rapportata al prestigio della famiglia. La particolarità è che la pasta frolla viene letteralmente ricamata come fosse filigrana su ogni singolo dolce; per questo motivo hanno un costo molto elevato. Data la difficile preparazione, oggi il proseguimento della tradizione è demandato a pochi laboratori artigianali.
Copuleta
Originario di Ozieri, questo dolce è vittima di una lunga polemica sul nome che alcuni vorrebbero legato al verbo “copulare”. “Copulèta” deriva invece più verosimilmente dal latino cùpula, diminutivo di cùpa (cuba in sardo) e cioè dal vocabolo che nella lingua sarda sta a idenfiticare la botte; questo dolce infatti ha assunto, nel tempo, proprio questa forma nonostante oggi si trovi spesso in forme molto più moderne e raffinate. E’ un dolce fatto fatto da una sottile sfoglia di pasta bianca lavorata con strutto, ripiena di un composto di mandorle e bianco d’uovo, guarnito infine da una glassa bianca; secondo alcune ricette alternative, invece, il ripieno può essere anche di marmellata o di saba.
Culurgiones dolci
Dolci tipici del carnevale, sono di fatto una variante dolce dei ravioli, dove al ripieno classico viene sostituito un impasto di miele, mandorle, scorzette di limone tritate e acqua di fiori d’arancio; alcune varianti prevedono l’uso del maraschino o della vernaccia. La pasta di semola, farina e strutto così riempita verrà poi fritta e cosparsa di zucchero a velo.
Pirichittus
Una delle ricette più tipiche del carnevale sardo è quella dei Pirichittus, ovvero piccoli bocconi di pasta morbida ricoperti di glassa al limone, probabilmente discendenti dal periquillo spagnolo, che ancora oggi è legato, in Spagna, alla medesima festa. Tante varianti quanti i paesi dell’isola, si potrebbe tradurre così la realtà di moltissimi dolci sardi e questo non fa eccezione. I pirichittus di Campidano, ad esempio, sono piccoli e morbidi mentre invece tra Ittiri e Quartu Sant’Elena è diffusa la variante “di vento”, ossia leggerissima e vuota all’interno. Via: repubblica