Kitsune (狐 [kitsɯne]) è la parola giapponese per “volpe”. Le volpi sono un soggetto ricorrente e un elemento di particolare importanza nel folclore giapponese; in italiano, kitsune si riferisce ad esse in questo contesto. Secondo la mitologia giapponese la volpe è un essere dotato di grande intelligenza, in grado di vivere a lungo e di sviluppare con l’età poteri soprannaturali: il principale tra questi ultimi è l’abilità di cambiare aspetto ed assumere sembianze umane, infatti esse appaiono spesso con l’aspetto di una bella donna. In alcuni racconti esse utilizzano queste abilità per ingannare il prossimo — come sovente avviene nel folclore comune — mentre altri le ritraggono come guardiani benevoli, amiche, amanti e mogli. Più una kitsune è vecchia, saggia e potente, più code possiede, fino a un massimo di nove.
Le kitsune sono strettamente accomunate alla figura di Inari, il kami shintoista della fertilità, dell’agricoltura e del riso: esse sono al suo servizio col ruolo di messaggere, e tale veste ha rafforzato il significato soprannaturale della volpe. Come conseguenza dell’influenza che esercitano sulle persone e dei poteri loro attribuiti, vengono venerate come fossero a tutti gli effetti delle divinità.
L’origine storica del ruolo centrale della volpe nel folclore giapponese è da ricercare nella sua armoniosa convivenza con gli esseri umani nel Giappone antico, da cui derivano i vari miti e leggende su queste creature.
Origini
L’origine dei miti sulla kitsune sono attualmente oggetto di dibattito, ma vi è comunque la certezza che numerosi racconti sulle volpi possano essere ricondotti a Paesi quali Cina, Corea, India e Grecia; molte di queste prime storie sono contenute nel Konjaku Monogatarishū, una raccolta di narrazioni cinesi, indiane e giapponesi dell’XI secolo.[1] I racconti popolari cinesi parlano di spiriti-volpi chiamati huli jing (kyūbi no kitsune in giapponese) che posseggono nove code quale peculiare caratteristica. In Corea vi è la figura del kumiho (letteralmente “volpe a nove code”), una creatura mitologica in grado di vivere cento o mille anni;[2][3] essa è vista come un essere maligno, a differenza della sua controparte giapponese. Secondo alcuni studiosi le caratteristiche comuni presenti in ognuna di queste figure sarebbero da ricondurre a opere indiane quali Hitopadesa (XII secolo) e Pañcatantra (III secolo a.C.), le quali a loro volta avrebbero tratto ispirazione dalle Favole di Esopo (Grecia, VI secolo a.C.), che si diffusero successivamente in Cina, Corea e infine in Giappone.[4]
Il principale elemento di discussione riguardo ai miti sulla kitsune è quindi la difficoltà nell’individuare la loro origine precisa. Alcune correnti di pensiero ipotizzano che tali miti siano esclusivamente di origine straniera, mentre alcuni folcloristi nipponici ritengono il mito della kitsune una credenza indigena giapponese risalente al V secolo a.C.. Uno di questi, Kiyoshi Nozaki, è convinto che le kitsune fossero già diffuse e considerate un personaggio dai connotati positivi nella cultura popolare già dall’inizio del IV secolo; gli elementi importati dalla Cina o dalla Corea sarebbero unicamente le caratteristiche negative.[5] Egli afferma che, secondo un libro del XVI secolo chiamato Nihon Ryakki, le volpi e gli uomini avrebbero convissuto nel Giappone antico, dando origine alle leggende giapponesi su queste creature.[6] La ricercatrice Karen Smyers, interessata agli studi sul dio Inari (nume fortemente legato ai miti sulla kitsune), ritiene che la figura della volpe e la sua concezione negativa come seduttrice e portatrice di sventura, strettamente connessa ai miti sulle kitsune del Buddhismo, siano state introdotte nel folclore giapponese attraverso i racconti popolari cinesi, sostenendo tuttavia che alcuni dei miti contengano elementi unicamente giapponesi.[7]
Etimologia
Secondo Nozaki la parola kitsune ha origini onomatopeiche.[6] Il termine kitsu in passato veniva usato per indicare il verso della volpe, diventando successivamente la parola che identifica l’animale stesso. La parola ne è traducibile in “stato d’animo affettuoso”, che Nozaki presenta quale ulteriore prova delle sue affermazioni, ovvero che nella tradizione originale del folclore giapponese le volpi fossero esseri benevoli.[5] Oggi il termine kitsu è caduto in disuso; nel giapponese moderno è stato infatti sostituito da kon kon o gon gon.
Uno dei più antichi racconti sui miti delle kitsune fornisce un’etimologia popolare del termine, in seguito smentita.[8] A differenza di molti racconti di kitsune nei quali esse si trasformano in donne, questo non termina tragicamente:[1][9]
« Ono, an inhabitant of Mino (says an ancient Japanese legend of A.D. 545), spent the seasons longing for his ideal of female beauty. He met her one evening on a vast moor and married her. Simultaneously with the birth of their son, Ono’s dog was delivered of a pup which as it grew up became more and more hostile to the lady of the moors. She begged her husband to kill it, but he refused. At last one day the dog attacked her so furiously that she lost courage, resumed vulpine shape, leaped over a fence and fled.
“You may be a fox”, Ono called after her, “but you are the mother of my son and I love you. Come back when you please; you will always be welcome”.
So every evening she stole back and slept in his arms. »
(IT)
« Ono, un abitante di Mino (come narra un’antica leggenda giapponese del 545 d.C.), impiegò molto tempo per trovare il suo ideale di bellezza femminile. Una sera trovò la donna perfetta in una vasta palude decidendo quindi di sposarla. Contemporaneamente alla nascita del primo figlio anche il cane di Ono ebbe un cucciolo, che crescendo divenne sempre più ostile verso la donna delle brughiere. Ella pregò il marito di ucciderlo, ma lui si rifiutò. Un giorno il cane l’attaccò terrorizzandola tanto che lei tornò alla sua originale forma volpina e scappò via.
“Sarai anche una volpe” le diceva poi Ono “ma sei la madre dei miei figli e io ti amo. Torna quando ti pare; sarai sempre benvenuta”.
Così ogni sera ella tornava e dormiva tra le sue braccia. »
(Sunto del racconto Torna e dorme scritto dal monaco Kyoukai nel tardo VIII secolo o all’inizio del IX secolo[8])
Poiché ella tornava ogni notte dal marito sotto forma di donna, ma tutte la mattine se ne andava come volpe, fu chiamata kitsune. In giapponese classico kitsu-ne significa “torna e dorme”, mentre la variante ki-tsune significa “torna sempre”.[9]
Caratteristiche
Le kitsune sono conosciute per possedere una grande intelligenza, poteri magici e per essere in grado di vivere a lungo. Esse sono un tipo di yōkai, ovvero un’entità spirituale, e la parola kitsune è spesso tradotta in “spirito di volpe”. Tuttavia ciò non significa che le kitsune siano dei fantasmi, né che siano fondamentalmente diverse dalle normali volpi: in questo contesto la parola “spirito” è usata per riflettere uno stato di conoscenza o illuminazione, quindi tutte le volpi longeve sono in grado di acquisire abilità soprannaturali.[7]
Vi sono due principali tipi di kitsune. Le zenko (善狐 letteralmente “volpi buone”) sono volpi celestiali e benevole, associate al culto del dio Inari; talvolta sono dette semplicemente “volpi Inari”. Le yako (野狐 letteralmente “volpi di campo”, chiamate anche nogitsune), invece, posseggono un carattere malizioso e intenzioni malvagie.[10] Le tradizioni locali prevedono ulteriori tipi di kitsune:[11] una ninko (人狐 “volpe umana”), per esempio, è uno spirito di volpe invisibile, capace di interagire con gli esseri umani attraverso la pratica della possessione. Altre tradizioni suddividono le kitsune in tredici classi distinte, ognuna delle quali possiede uno specifico potere soprannaturale.[12][13]
La principale caratteristica fisica che contraddistingue le kitsune è la grande quantità di code che esse possiedono. Maggiore è l’età di una volpe, maggiore sarà il numero delle code cui essa potrà disporre, fino a un massimo di nove.[14] Di conseguenza, un gran numero di code sta a indicare una volpe più anziana e potente; alcuni racconti popolari narrano che solo le volpi ultracentenarie possano ambire al numero massimo di code.[15] I miti più conosciuti narrano di volpi a una, cinque, sette, o nove code.[16] Quando una kitsune ottiene la sua nona coda, il suo manto diviene di colore bianco o oro.[14] Queste kyūbi no kitsune (九尾の狐 volpi a nove code) acquisiscono anche l’abilità di vedere e sentire qualsiasi cosa accada in ogni parte del mondo (onniscienza), e altri racconti attribuiscono loro infinita saggezza.[17]
Abilità mutaforma
Tra le capacità delle kitsune vi è la possibilità di cambiare aspetto e di assumere sembianze umane, un’abilità che la volpe può apprendere una volta raggiunta una determinata età, solitamente 50 o 100 anni.[15] Per poter compiere tale trasformazione la volpe deve posare sulla propria nuca delle canne, una foglia di grande dimensioni o un teschio.[18] Le forme comunemente assunte dalle kitsune includono uomini anziani, belle donne o giovani ragazze; questi ultimi due esempi sono le trasformazioni più conosciute delle kitsune. Nel Giappone medioevale si credeva infatti che ogni donna vista aggirarsi senza meta, specialmente al crepuscolo o di notte, fosse una volpe.[19] Il termine kitsune-gao (狐顔 “faccia da volpe”) viene usato per descrivere i lineamenti umani del viso delle donne, caratterizzato da una forma affilata e occhi ravvicinati, sopracciglia sottili e zigomi alti. Tradizionalmente questa forma del viso è considerata attraente, e in alcuni racconti le volpi assumono tale fisionomia.[20] In alcune varianti dei suddetti racconti le kitsune mantengono dei tratti volpini, come ad esempio una leggera peluria sul corpo, un’ombra o un riflesso che mostri la loro vera natura.[21] Le volpi che possiedono questa capacità possono comunque trasformarsi in qualsiasi persona, senza limiti di età o di genere.[7][22]
Un buon metodo per scoprire la vera natura delle kitsune è cercarne la coda, in quanto esse hanno difficoltà a nasconderla quando assumono forma umana.[23] Una persona particolarmente leale, in alcuni casi, può essere anche capace di percepire la vera natura di una volpe e di smascherarne il travestimento.[24] Mentre sono in forma umana, le kitsune mostrano astio e ostilità verso i cani, tanto da esserne terrorizzate ed essere costrette in alcuni casi a ritornare in forma volpina e fuggire (come ad esempio avviene nel racconto Torna e dorme di Kyoukai).
Tale imperfezione nella trasformazione in forma umana delle kitsune è raccontata all’interno di un racconto popolare che ha come protagonista Koan, un personaggio storico che si credeva avesse grande saggezza e magici poteri di divinazione. Secondo il racconto egli si trovava a casa di uno dei suoi devoti quando si ustionò i piedi a causa di un pediluvio con acqua troppo calda. Poi, si legge nel racconto, «per il dolore corse fuori dal bagno nudo. Quando la gente della casa lo vide, si stupirono nel vedere che Koan avesse gran parte del corpo ricoperto da pelliccia e una coda da volpe. A quel punto Koan si trasformò di fronte a loro, tramutandosi in un’anziana volpe e scappando via».[25]
Altre abilità in possesso delle kitsune sono la possessione spirituale, la capacità di sputare fuoco o fulmini dalla bocca o dalle code (conosciuta come kitsunebi), il potere di entrare nei sogni, l’invisibilità, la capacità di volare e di creare illusioni complesse ed elaborate.[18][21] Le kitsune vengono descritte anche come dotate di poteri ancora maggiori, come modificare il tempo e lo spazio, rendere le persone folli, oppure assumere altre forme oltre a quelle umane, come un albero d’incredibile altezza o una seconda luna nel cielo.[26][27] Altre kitsune hanno caratteristiche simili ai vampiri o ai succubi, nutrendosi dell’energia vitale degli esseri umani, generalmente attraverso un contatto sessuale.[28]
Kitsunetsuki
Kitsunetsuki (狐憑き / 狐付き anche trascritto kitsune-tsuki) significa letteralmente “posseduto dalla volpe”: si credeva che una volpe fosse in grado di entrare nel corpo delle sue vittime, generalmente giovani donne, attraverso un’unghia o il petto, nutrendosi così della loro forza vitale e vivendo all’interno del corpo senza relazione con l’anfitrione.[29] In alcuni casi sembra che i tratti del viso del posseduto cambiassero leggermente, in modo da ricordare le fattezze di una volpe. Infine, secondo la tradizione giapponese, gli analfabeti, una volta posseduti, acquisivano temporaneamente la capacità di leggere e scrivere.[30]
Il folclorista Lafcadio Hearn (1850-1904) descrive questa condizione nel suo libro Glimpses of Unfamiliar Japan:
« Strange is the madness of those into whom demon foxes enter. Sometimes they run naked shouting through the streets. Sometimes they lie down and froth at the mouth, and yelp as a fox yelps. And on some part of the body of the possessed a moving lump appears under the skin, which seems to have a life of its own. Prick it with a needle, and it glides instantly to another place. By no grasp can it be so tightly compressed by a strong hand that it will not slip from under the fingers. Possessed folk are also said to speak and write languages of which they were totally ignorant prior to possession. They eat only what foxes are believed to like — tofu, aburagé, azukimeshi, etc. — and they eat a great deal, alleging that not they, but the possessing foxes, are hungry. »
(IT)
« Strana è la follia di coloro posseduti da un demone volpe. Talvolta corrono nudi gridando per le strade. Talvolta dormono o con la bava alla bocca, ululano come volpi. E su alcune parti del corpo del posseduto compare sotto pelle una protuberanza che si muove, che sembra avere vita propria. Se lo si punge con un ago, immediatamente si sposta in un altro posto. Per far sì che si fermi occorre bloccarlo saldamente sotto una mano, facendo pressione affinché non scivoli via dalle dita. La gente posseduta si dice che parli e scriva in lingue fino allora sconosciute. Mangiano solo ciò che sembra piacere alle volpi – tōfu, aburaage e azukimeshi – e ne mangiano una gran quantità, come se non essi, ma la volpe che li possiede, fosse affamata.[31] »
Hearn fa poi notare che, una volta liberata dallo stato di kitsunetsuki, la vittima si rifiuterà di mangiare tōfu, azukimeshi e altri cibi che piacciono alle volpi.
« Exorcism, often performed at an Inari shrine, may induce a fox to leave its host. In the past, when such gentle measures failed or a priest was not available, victims of kitsunetsuki were beaten or badly burned in hopes of forcing the fox to leave. Entire families were ostracized by their communities after a member of the family was thought to be possessed. »
(IT)
« L’esorcismo, spesso effettuato in un santuario di Inari, può indurre la volpe a lasciare il corpo nella quale è ospitata.[32] In passato, quando questa soluzione falliva o non era disponibile un sacerdote, il posseduto veniva malmenato o bruciato vivo nella speranza di costringere la kitsune ad andarsene.[33] Intere famiglie sono state ostracizzate dalla loro comunità a causa di un familiare che si pensava fosse stato vittima di kitsunetsuki.[31] »
In Giappone, il kitsunetsuki incominciò a essere trattato alla stregua di una malattia dal periodo Heian (794-1185), venendo indicato come diagnosi comune di infermità mentale fino al XX secolo.[34][35] Lo stato di possessione veniva utilizzato come spiegazione per il comportamento anormale mostrato dagli afflitti da disturbi mentali. Nel tardo XIX secolo, il dottor Shunichi Shimamura dichiarò che le malattie fisiche responsabili dell’insorgenza di febbre erano spesso ricondotte allo stato di kitsunetsuki.[36] È indubbio che la maggior parte di tali storie di possessione a opera di volpi siano influenzate dalle credenze popolari, ma ciò nonostante esse continuano a verificarsi anche in tempi più recenti, come ad esempio le insinuazioni fatte ai danni dei membri del nuovo movimento religioso Aum Shinrikyo, accusati di essere posseduti.[37][38]
In medicina, il kitsunetsuki è considerata una sindrome culturale unica della cultura giapponese. Coloro che soffrono di questa malattia (i più colpiti sono uomini con poca cultura, religiosi e donne) credono di essere posseduti da una volpe.[39] I sintomi includono ossessione per riso e fagioli rossi dolci, apatia, irrequietezza e avversione al contatto visivo. Il kitsunetsuki è simile alla licantropia clinica, ma si distingue da essa sotto alcuni aspetti.[40]
Hoshi no tama
Nelle rappresentazioni artistiche le kitsune vengono spesso raffigurate a fianco di punti luminosi di forma sferica conosciuti come hoshi no tama (ほしのたま letteralmente “sfere stellate”): questi punti, in alcuni racconti, vengono descritti come globi incandescenti, e in questo caso prendono il nome di kitsunebi (狐火 “fuoco di volpe”).[41] Vengono rappresentate anche sotto forma di perle o gioielli dotati di poteri magici:[42] questi oggetti sono uno dei simboli peculiari associati alla figura del dio Inari, e le rappresentazioni delle sacre volpi di Inari senza le proprie hoshi no tama sono assai rare.[43] Le kitsune, quando assumono la loro forma naturale, trasportano la propria sfera tenendola tra le fauci o trasportandola sulla coda.[15]
Una convinzione popolare narra che, quando una kitsune cambia forma, parte del suo potere magico si trasferisce all’interno della hoshi no tama. Un’altra tradizione vuole che la perla rappresenti l’anima della kitsune, perciò, se la volpe dovesse rimanere troppo tempo separata da questa, finirebbe per morire. È possibile anche sottrarre la sfera alla kitsune, in modo da chiedere delle ricompense in cambio della restituzione.[44] Un racconto del XII secolo narra della disavventura di una volpe che si vede sottrarre la hoshi no tama da un uomo:
« “Confound you!” snapped the fox. “Give me back my ball!” The man ignored its pleas till finally it said tearfully, “All right, you’ve got the ball, but you don’t know how to keep it. It won’t be any good to you. For me, it’s a terrible loss. I tell you, if you don’t give it back, I’ll be your enemy forever. If you do give it back though, I’ll stick to you like a protector god.” »
(IT)
« “Maledizione!” sbottò la volpe. “Restituiscimi la mia sfera!” Ma l’uomo la ignorava finché ella non cominciò a piangere. “Va bene – disse – hai rubato la mia sfera, ma non ha idea di cosa farne. Non ne trarrai nulla di buono per te. Per me invece, è una perdita terribile. Io ti dico che, se tu non me la dovessi restituire, sarò tuo eterno nemico. Se invece me la restituissi, ti starò a fianco come un dio protettore.” »
Il racconto si conclude con l’uomo che, attaccato da una banda di rapinatori armati, viene salvato dall’intervento della volpe, alla quale in cambio restituisce la sfera magica.[45]
Rappresentazioni
Messaggere di Inari
Le kitsune sono strettamente legate alla figura del dio Inari, la divinità shintoista del riso e dell’agricoltura.[46] Quest’ultimo, secondo la tradizione, nei periodi invernali risiedeva in montagna, per poi scendere a valle in primavera durante la stagione agricola. Finito il periodo del raccolto, Inari sarebbe tornato ancora una volta nella sua residenza invernale. Ogni stagione le volpi si avvicinavano alle abitazioni degli umani allo stesso modo, venendo col tempo riconosciute come naturali messaggere del dio.[47] Tale legame ha contribuito a rafforzare l’essenza soprannaturale della volpe,[48] tanto che essa è stata per lungo tempo venerata come kami.[49] La kitsune è sovente raffigurata quale serva o messaggera di Inari, ma la linea di demarcazione tra i due si è ormai talmente assottigliata che talvolta lo stesso dio è ritratto come una volpe. Allo stesso modo, interi santuari sono dedicati alle kitsune, dove i devoti erano soliti offrire fette di tōfu fritto chiamate aburaage, di cui gli spiriti-volpi si dice fossero particolarmente ghiotti.[11] Tale pietanza di conseguenza ha influenzato la preparazione e la diffusione di piatti a base di pasta chiamati kitsune udon e kitsune soba. Inoltre l‘inarizushi è un tipo di sushi che deve il nome al dio Inari e che consiste in delle polpette di riso rivestite di aburaage.[50]
Le kitsune di Inari sono bianche, colore considerato di buon auspicio,[11] caratteristica che in passato valse loro il titolo nobiliare di myōbu.[53] Esse possiedono il potere di allontanare il male, e talvolta agiscono da spiriti guardiani. Oltre a proteggere i santuari di Inari, esse proteggono le persone del posto fungendo da spauracchio contro le malvagie nogitsune, gli spiriti-volpi che non sono a servizio di Inari. Le volpi nere e le volpi a nove code sono altresì considerate come portafortuna.[23]
Secondo i credi tramandati dalla geomanzia cinese (feng shui), il potere delle volpi sul male è tale che un amuleto o una semplice statua raffigurante una kitsune è sufficiente ad allontanare il kimon (鬼門), termine stante a identificare quell’energia responsabile di indurre le persone in tentazione, e liberamente traducibile in “cancello dei demoni a nord-est” o “creature che giungono da nord-est”. Secondo le credenze popolari cinesi la direzione nord-est è considerata particolarmente infausta e tale convinzione ha finito per influenzare le tradizioni giapponesi. Parecchi jinja di Inari, come il famoso santuario di Fushimi Inari-taisha a Kyoto, posseggono statue di kitsune poste a nord-est, le quali interpretano il ruolo di guardiano avente il compito di impedire l’ingresso dell’energia demoniaca nel mondo terreno.
La figura della kitsune non compare unicamente nella tradizione shintoista, ma è legata anche alla religione buddhista attraverso Dakini, spirito sovente raffigurato come controparte femminile di Inari. Dakini è ritratta come una donna bodhisattva brandente una spada e in sella a una volpe volante di colore bianco.[54]
Affabulatrici e vendicative
Le kitsune spesso adottano comportamenti tipici dei trickster (traducibile in “ingannatore”), ovvero esseri spirituali abili nell’imbroglio e caratterizzati da una condotta amorale, capaci di compiere azioni che variano dalla semplice malizia fino alla vera e propria malevolenza. I racconti narrano di kitsune che truffano samurai eccessivamente orgogliosi, mercanti avidi o persone vanitose, mentre quelle più crudeli abusano di contadini e poveri commercianti o di devoti monaci buddhisti. Per esempio, si pensa che le kitsune usino i kitsunebi a mo’ di fuoco fatuo nel tentativo di far smarrire la strada ai viaggiatori.[55][56] Altri trucchi utilizzati dalle kitsune ingannatrici includono sedurre la vittima, confonderla con illusioni e visioni, il furto di cibo, l’umiliazione dei vanagloriosi e la vendetta. Le loro vittime sono di solito uomini; le donne invece vengono possedute.[19]
Un gioco tradizionale giapponese chiamato kitsune-ken (狐拳 letteralmente “pugno della volpe”) fa riferimento a tali poteri, dando una chiara idea di come fossero visti e temuti dalle persone del tempo. Il gioco è simile alla morra cinese, ma le tre posizioni delle mani sono “volpe”, “cacciatore” e “capo villaggio”. Il “capo villaggio” batte il “cacciatore”, perché lo supera di grado; il “cacciatore” batte la “volpe”, poiché in grado di sparare col suo fucile; la “volpe” batte il “capo villaggio”, stregandolo.[57][58]
Queste rappresentazioni ambigue, unite alla reputazione di esseri vendicativi, motivarono le persone a cercare di scoprire le cause del comportamento problematico delle volpi. Per esempio, Toyotomi Hideyoshi, daimyō che unificò il Giappone alla fine del XVI secolo scrisse una lettera al dio Inari:
« To Inari Daimyojin,
My lord, I have the honor to inform you that one of the foxes under your jurisdiction has bewitched one of my servants, causing her and others a great deal of trouble. I have to request that you make minute inquiries into the matter, and endeavor to find out the reason of your subject misbehaving in this way, and let me know the result.
If it turns out that the fox has no adequate reason to give for his behavior, you are to arrest and punish him at once. If you hesitate to take action in this matter I shall issue orders for the destruction of every fox in the land. Any other particulars that you may wish to be informed of in reference to what has occurred, you can learn from the high priest of Yoshida. »
(IT)
« A Inari Daimyojin,
Mio signore, ho il dovere di informarla che una delle volpi sotto la sua giurisdizione ha stregato una delle mie serve, causando a lei e alle altre una grande quantità di problemi. Devo chiederle di fare minuziose indagini sulla questione, e cercare di scoprire le ragioni del comportamento del soggetto, mettendomene a conoscenza appena possibile.
Se scopre che la volpe non ha ragioni sufficienti per motivare il proprio comportamento, la prego di fermarla e di punirla. Se esita nell’intervenire in questa vicenda, io darò ordine di sterminare tutte le volpi del Paese. Per qualsiasi altra questione relativa o in riferimento a quanto accaduto, può consultare il sommo sacerdote di Yoshida.[59] »
Le kitsune sono note per mantenere ciò che promettono e si sforzano di restituire qualsiasi favore; può capitare che esse si stabiliscano nell’abitazione di una persona o di una famiglia, provocando ogni sorta di male. In un racconto del XII secolo, solo la minaccia del proprietario dell’abitazione di sterminarle, le volpi si convincono ad andarsene. La volpe capofamiglia, tuttavia, appare nei sogni dell’uomo:
« My father lived here before me, sir, and by now I have many children and grandchildren. They get into a lot of mischief, I’m afraid, and I’m always after them to stop, but they never listen. And now, sir, you’re understandably fed up with us. I gather that you’re going to kill us all. But I just want you to know, sir, how sorry I am that this is our last night of life. Won’t you pardon us, one more time? If we ever make trouble again, then of course you must act as you think best. But the young ones, sir — I’m sure they’ll understand when I explain to them why you’re so upset. We’ll do everything we can to protect you from now on, if only you’ll forgive us, and we’ll be sure to let you know when anything good is going to happen! »
(IT)
« Mio padre visse qui prima di me, signore, e ora io ho molti figli e nipoti. Compiono molte monellerie, me ne dispiaccio, e cerco sempre di fermarli, ma non mi prestano attenzione. E adesso, signore, lei è comprensibilmente stanco di noi. Ma io voglio solo che lei sappia, signore, quanto mi dispiaccia che questa sia la nostra ultima notte di vita. Non vuole perdonarci, solo per questa volta? Se mai creeremo altri problemi, poi, naturalmente, lei agirà come meglio crede. Ma i giovani, signore, sono sicuro che capiranno quando spiegherò loro perché lei è così arrabbiato. Faremo tutto il possibile per proteggerla da ora in poi, ma solo se ci perdona, e stia certo che le faremo sapere quando qualcosa di buono sta per accadere![60] »
Altre kitsune usano la magia a beneficio dei loro compagni o padroni finché questi le trattano con rispetto. Essendo yōkai, tuttavia, le kitsune non condividono la moralità umana, e può capitare che una volpe stabilitasi in una casa, per esempio, vi porti all’interno denaro e altri oggetti rubati a vicini; come conseguenza, le famiglie in cui si pensa alloggi una kitsune sono trattate con diffidenza e sospetto.[61] Tra i più sospettati di ospitare una kitsune vi erano i samurai, ma in questo caso le volpi erano classificate come zenko e la possibilità di usufruire dei loro poteri magici era considerato un segno di prestigio.[62] Le case abbandonate erano generalmente considerate luogo di ritrovo per le kitsune.[19] Un racconto del XII secolo narra di un ministro che decise di trasferirsi in un vecchio palazzo, trovandovi all’interno una famiglia di volpi che vi abitava: inizialmente esse provarono a spaventarlo, poi sostennero che la casa apparteneva loro da molti anni; però l’uomo non cedette, e le volpi furono costrette ad andarsene e a trasferirsi in un terreno nelle vicinanze.[63]
Infine è noto che dalle kitsune non bisogna accettare ricompense che includano denaro o beni materiali, in quanto questi diverranno carta, foglie, rami, pietre o altri oggetti senza valore, mascherati precedentemente da oggetti preziosi grazie alla magia.[64][65] Le ricompense delle kitsune sono solitamente beni immateriali come protezione, conoscenza e lunga vita.[65]
Mogli e amanti
Le kitsune sono generalmente rappresentate come amanti, di solito in storie che coinvolgono un giovane maschio umano e una kitsune sotto forma umana.[66] La kitsune è nota per la sua indole tentatrice e seduttrice, ma queste storie sono sovente di natura romantica.[67] In genere, quando il giovane uomo sposa la volpe, non è a conoscenza della sua vera natura, in quanto ella si dimostra essere una moglie devota. Se il marito eventualmente scoprisse la vera identità della kitsune, allora ella sarebbe costretta a lasciarlo e fuggire. In questo caso il marito si sveglia come da un sogno, sporco, disorientato e lontano da casa. Una volta fatto ritorno egli deve fare i conti con la famiglia che ha disonorato con il proprio comportamento.
Altre leggende narrano di volpi che, una volta andate in moglie a un umano, partoriscono dei figli. Questi hanno la possibilità di ereditare speciali qualità fisiche o soprannaturali che sovente perpetuano a loro volta ai propri figli.[23] Una di queste leggende racconta la storia di Abe no Yasuna (安倍保名), il quale passando un giorno presso un tempio dedicato a Inari vide una volpe inseguita dai cacciatori, e impietositosi decise di salvarla fornendo agli uomini false indicazioni. Alcuni mesi dopo sposò un bella donna di nome Kuzunoha la quale gli diede anche un figlio. Tre anni dopo, Kuzunoha scappò via lasciando un biglietto nel quale confessava al marito di essere la volpe salvata così generosamente anni addietro.[68] La leggenda vuole che il figlio dei due sia il famoso astronomo e occultista Abe no Seimei (安倍 晴明 921-1005), dotato di potenti poteri magici ereditati dalla madre kitsune.[69]
Anche lo scrittore Stephen Turnbull, in Nagashino 1575: Slaughter at the barricades, racconta la storia del coinvolgimento del clan Takeda con una donna-volpe. Nel 1544 il signore della guerra Shingen Takeda, durante una campagna di conquista nella provincia di Shinano, sconfisse in battaglia un daimyō locale noto come Yorishige Suwa, costringendolo al suicidio. Successivamente obbligò la figlia quattordicenne di questi a sposarlo. Egli era talmente ossessionato dalla ragazza che i suoi seguaci si convinsero che ella fosse l’incarnazione dello spirito della volpe bianca del santuario di Suwa, che lo aveva stregato al fine di ottenere vendetta. Quando il figlio dei due, Katsuyori Takeda, guidò alla disfatta il clan nella battaglia di Nagashino i «vecchi saggi annuirono, ricordando le circostanze infelici della sua nascita e delle voci sui poteri della madre».[70]
I racconti riportano anche matrimoni tra le stesse kitsune. Quando piove ma nel frattempo il cielo è limpido (pioggia a ciel sereno) si dice avvenga un “matrimonio di volpi” (狐の嫁入り kitsune no Yomeiri) in riferimento a una leggenda che descrive una cerimonia matrimoniale tra due kitsune avvenuta in tali condizioni climatiche.[71] L’evento è considerato di buon auspicio, ma nessuno è autorizzato ad assistere al matrimonio, in caso contrario si scatenerebbe la vendetta della kitsune,[72] come descritto nel film Sogni di Akira Kurosawa.[73]
Nella cultura di massa
Le kitsune sono molto comuni anche nelle opere contemporanee come manga e anime. L’opera che più trae ispirazione da tali figure è Naruto di Masashi Kishimoto: tra i cosiddetti cercoteri vi è la Volpe a Nove code, chiara reinterpretazione della creatura mitologica, ma anche lo stesso protagonista Naruto Uzumaki, al cui interno è sigillato lo spirito di un demone volpe, ha in comune con la kitsune alcune caratteristiche quali l’aspetto fisico, il temperamento impulsivo e avventato abbinato ad abilità da stratega e capacità di prendersi gioco dei nemici, oltre alla possibilità di mutare il proprio aspetto.[74] In InuYasha di Rumiko Takahashi il personaggio di Shippo, uno dei principali dell’opera, ha le fattezze di un bambino con la coda da volpe, ed è capace di mutare aspetto a piacimento.[75] Il manga Kajika di Akira Toriyama narra la storia di un ragazzo dotato di poteri soprannaturali che viene maledetto dopo aver ucciso una volpe: egli viene privato di parte dei suoi poteri e trasformato in una ragazzo-volpe, e per poter riacquisire le vere sembianze è costretto a salvare almeno mille vite umane.[76] Altro personaggio che le lega la sua figura al mito della kitsune è Shuichi Minamino, uno dei protagonisti dell’opera di Yoshihiro Togashi Yu degli spettri, dove è la reincarnazione di una kitsune di nome Yoko Kurama.[77] Nel manga Ushio e Tora di Kazuhiro Fujita una kitsune che si fa chiamare la maschera bianca è il vero nemico della coppia protagonista. Altre opere giapponesi in cui si fa chiaro riferimento alla kitsune sono l’anime Digimon, in cui la creatura Renamon è ispirata alla figura della volpe a nove code,[78] e svariati manga tra cui Kitsune Hajimemashita, Kitsune no Akuma to Kuroi Madousho, Kitsune no Taba Yobai, Kitsune no Yomeiri, Kitsune to Aburage, Kitsune to Atori, Okistune no Hanayome e Okitsune-sama de Chu.[79]
È possibile trovare la kitsune anche in opere di intrattenimento come giochi da tavolo e videogiochi. In Magic: l’Adunanza, gioco di carte collezionabili, una delle razze del gioco è formata da kitsune; nella visual novel Kanon, Makoto, una delle protagoniste, è una volpe che ha assunto forma umana; nel videogioco Shadowrun una delle razze è chiamata appunto kitsune, mentre in Pokémon una delle creature, Ninetales, trae ispirazione dalla figura della volpe a nove code.[78]
Anche autori e scrittori occidentali hanno iniziato a utilizzare la figura della kitsune nelle proprie opere, come ad esempio ne Il diario del vampiro di Lisa Jane Smith, Fragile Eternity di Melissa Marr, The Fox Woman di Kij Johnson e Spirits White as Lightning di Mercedes Lackey. Inoltre la kitsune appare nel film Ran (1985) di Akira Kurosawa e nel telefilm Teen Wolf (2011).
Nella tradizione giapponese
Radicate nel folklore, le kitsune compaiono in molte opere del teatro giapponese. Sono presenti in qualità di personaggi delle opere del teatro nō, kyōgen, bunraku e kabuki.[80][81] Le più famose rappresentazioni sono:
##Kuzunoha, protagonista dell’opera bunraku e kabuki in cinque atti chiamata Ashiya Dōman Ōuchi Kagami.[82][83]
##Tamamo-no Mae, protagonista dell’opera kabuki e kyōgen Tamamonomae e del dramma nō Sesshoseki, che narrano la storia una donna volpe andata in sposa all’imperatore Toba. Quando l’imperatore si ammalò improvvisamente, ella fu accusata di averlo stregato: una volta smascherata riprese le sembianze volpine ma fu colpita a morte dall’arciere Miura Kuranosuke; quando la volpe morì si trasformò in una roccia nota come la “pietra della morte” (殺生石 sesshō-seki), che si dice causasse la morte di ogni essere vivente con cui venisse in contatto.[84][85]
##Genkurō, che compare nell’opera drammatica bunraku e kabuki Yoshitsune Sembon Zakura.[86][87]
La figura della kitsune viene celebrata altresì nei matsuri, i festival tradizionali giapponesi: il quarto sabato di settembre, per esempio, gli abitanti di Hida-Furukawa (prefettura di Gifu) sfilano per le strade della città travestiti da volpi per celebrare il Kitsunebi Matsuri (狐火祭), il festival del fuoco della volpe; essi si recano presso il santuario di Okura Inari e mettono in scena un matrimonio. Tale cerimonia ha lo scopo di propiziare la buona sorte e termina con un falò presso il santuario.[88] Un festival simile si svolge nel mese di luglio a Okaya, nella prefettura di Nagano.[89] A Kita (Tokyo) si svolge, invece, la parata delle volpi di Ōji (王子狐の行列 Ōji kitsune no gyōretsu) durante la quale i locali, durante la vigilia di Capodanno, sfilano per le strade travestiti da volpe prima di raggiungere il santuario di Ōji Inari. Questa cerimonia trae origine da una leggenda secondo la quale le volpi di tutto il Giappone si riunirono sotto un grande albero e, travestite da esseri umani, si recarono allo stesso modo al santuario per celebrare l’ultimo giorno dell’anno.[90]
Meritano menzione anche i netsuke, piccoli borselli di legno o di avorio da abbinare agli abiti sprovvisti di tasche (come ad esempio il kimono): questi oggetti venivano intagliati in modo da assumere varie forme, tra cui quella della kitsune.[91]
Note
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59.^ Il sacerdote di Yoshida in questione era Yoshida Kanemi (1535–1610), allora capo-sacerdote al santuario di Yoshida di Kyōto. Si veda Hall, 2003, p. 137.
60.^ Tyler, 1987, pp. 114–115.
61.^ Hearn, 2005, pp. 159-161.
62.^ Hall, 2003, p. 148.
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65.^ a b Smyers, 1999, pp. 103-105.
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