E’ passato mezzo secolo dal primo rapporto sui danni del fumo: divieti e restrizioni che seguirono hanno salvato milioni di vite.
Si celebra in questi giorni un cinquantenario particolare. E’ passato mezzo secolo esatto (era il 1964) dalla pubblicazione del primo rapporto sul legame tra fumo e salute. Un panel di 10 esperti, accuratamente selezionato in modo da comprendere 5 fumatori e 5 non fumatori, sotto la direzione del Surgeon General Luther Terry, il responsabile delle questioni sanitarie per il governo federale americano, in un sabato mattina di metà gennaio svelò alla stampa Usa la triste realtà: “La relazione più forte tra il fumo di sigaretta e la salute è nel campo del tumore del polmone“. Queste furono le parole di Terry che poi aggiunse: “C’è relazione molto forte, e probabilmente una relazione causale, tra le malattie cardiache e il fumo di sigaretta”.
Quindi sono 50 anni esatti che conosciamo la versione ufficiale della scienza, anche se per molto tempo dopo le campagne di disinformazione accuratamente orchestrate da Big Tobacco convinsero molta parte del pubblico che gli scienziati non fossero concordi in merito alla pericolosità delle bionde. Un negazionismo ad hoc che ricorda molto da vicino quello al quale assistiamo oggi sul tema del cambiamento climatico. In occasione dell’importante anniversario, il Journal of the American Medical Association pubblica un’analisi sugli effetti di quel primo mitico rapporto sulle morti per fumo negli Stati Uniti.
Nonostante le iniziative messe in campo nel corso degli anni per ridurre il consumo di sigarette, in seguito alle rivelazioni contenute nel rapporto Terry, corroborate negli anni da innumerevoli altre ricerche, lo studio che appare su JAMA calcola che siano stati quasi 18 milioni gli americani morti per ragioni collegate al fumo dal 1964 a oggi. Ma la buona notizia è che avrebbero potuto essere 8 milioni di più. Scritte sui pacchetti, tasse e divieti hanno contribuito a salvare la bellezza di 157 milioni di anni di vita, “circa due decenni per ognuna delle vite salvate come risultato degli sforzi fatti per il controllo del tabacco”, precisa Theodore Holford, autore principale dell’articolo, in un’intervista alla radio pubblica americana Npr. Molti dei quali in persone sotto i 65 anni.
Holford conclude che il controllo del tabacco ha aumentato l’aspettativa di vita degli americani di circa il 30 per cento dal 1964, più di qualunque altra misura di salute pubblica intrapresa. Dovremmo perciò concludere che qualunque cosa funzioni per aiutare la gente a smettere debba senz’altro essere la benvenuta. Ma sulle sigarette elettroniche, grandi protagoniste del momento, continua a esserci chi avanza dubbi. Lo ricorda da questo lato dell’Atlantico il direttore del British Medical Journal in un editoriale in cui loda l’ex sindaco di New York Bloomberg per aver bandito, come ultimo atto del suo mandato, le e-cig nei luoghi pubblici chiusi.
Secondo un’analisi pubblicata su questo numero del BMJ, se da un lato le sigarette elettroniche possono aiutare i fumatori a smettere, dall’altro minacciano di confondere i contorni del dibattito tra ciò che fa bene e ciò che fa male. La stessa industria del tabacco che si fa bella entrando in forze nel settore delle e-cig con l’intento dichiarato di “limitare i danni” per i consumatori, in realtà avrebbe come vero obiettivo quello di avvicinare allo svapo nuovi clienti, che le sigarette vere non le hanno nemmeno mai provate. Fiona Godlee, direttore della prestigiosa rivista medica britannica, ribadisce la necessità di rafforzare, ora più che mai, il controllo sul tabacco visto che i dati parlano di consumi in aumento tra i giovani e conclude dichiarando che il suo giornale non accetterà più di pubblicare studi finanziati dall’industria del tabacco. Source: panorama
Lodevole iniziativa davvero, ma non avrebbe già dovuto essere così, diciamo almeno dal 1964?