Gli uomini blu
Su una superficie di oltre un milione di chilometri quadrati, vivono circa 250.000 Tuareg nomadi, gli unici abitanti della regione interna del Sahara che percorrono senza sosta una regione di un milione di Km di sabbia e di rocce, da una sorgente d’acqua ad un’altra, alla ricerca di magri pascoli per il bestiame. Alcuni studiosi hanno visto in loro i discendenti degli abitatori di Atlantide, il mitico continente sepolto, pare, sotto le sabbie di Murzuq… Altri pensano che essi discendano in linea diretta dai Garamanti del Oued Ajial, nel Fezzan… Altri ancora sostengono che sono di origine asiatica… Una cosa è certa: sono Berberi, e la loro progenie arriva dalle Genti dell’antico Fezzan, culla di tutte le grandi civiltà del nord Africa, Nilotica compresa. Il nome Tuaregh, al singolare Targhi, è stato dato loro dagli arabi e sta a significare “gli abbandonati da Dio” per via della loro opposizione alla dottrina di Maometto. Discendenti dei berberi, hanno mantenuto inalterata o quasi, la purezza della razza, rimanendo fedeli a tradizioni e culture vecchie di secoli. La loro storia è costellata da innumerevoli battaglie per il predominio nelle oasi sahariane di Timbuctù, Gao e Agadez; tutti uniti contro le influenze degli imperi neri dei Songhay (Mali) e dei Kanem-Bornou. La loro autodeterminazione li ha costretti a subire molte rappresaglie da parte di stati come il Mali e il Niger, per convincerli a sottomettersi al governo centrale. Ma come si può pensare di sottomettere questi “figli del vento” la cui vita è legata indissolubilmente ai ritmi della terra, il cui spirito vaga come un granello di sabbia portato via dal vento. Sono chiamati “Uomini blu”perché si vestono di abiti di lana, materiale assai isolante, di colore blu, che a poco a poco tinge la loro pelle. Nonostante le loro abitudini nomadi, i tuareg hanno luoghi di raduno tradizionali. Soltanto il colore delle tende distingue le varie tribù, legate fra loro da un complicato sistema di alleanze locali. I Tuareg dell’Ovest hanno tende nere e rosse, quelli dell’Est invece, bianche, gialle e marroni. Nella società degli uomini del deserto, la divisione in classi è molto rigida: Nobili, vassalli e schiavi La classe dei nobili si distingue per il velo che non tolgono mai dal viso; La loro principale attività è il commercio a dorso di dromedario sulle piste del Sahara. In tempi passati furono anche terribili predoni e guerrieri. Gli schiavi sono di razza negroide, discendenti dei popoli che abitavano il deserto quando era ancora una verde savana o prigionieri di guerra. Essi in genere vivono nelle oasi e si dedicano all’artigianato e all’agricoltura. Fra i nobili, la casta degli “imohar” comprende i più grossi proprietari di mandrie ed è quella che decide le sorti dell’intera tribù. Il potere religioso è nelle mani dei “marabutti” o santoni, gli “inislimen”. Le donne occupano un posto privilegiato; Godono da sempre, infatti, di una grande libertà ed indipendenza, caso unico nel mondo islamico anche presso i popoli dotati, come loro, di leggi consuetudinarie. La donna partecipa con il marito alle riunioni, dove può esprimere il proprio parere; Non porta il velo ed educa i figli insegnando loro la cultura tradizionale, le antiche lingue e scritture berbere. Singolare è il fatto che sono gli uomini ad essere velati e non le donne, come si conviene fra i musulmani. I figli abitano con i genitori fino ad una certa età, dopo di che vivono in una tenda comune con gli altri coetanei. La ragazza può scegliere liberamente il suo sposo, lo incontra dove e quando vuole e, dopo il matrimonio può divorziare anche con il pretesto dell’incompatibilità. La famiglia tuareg è monogamica cioè formata dall’unione di un uomo ed una donna e la discendenza è matrilineare: il figlio, cioè, appartiene alla tribù e alla classe della madre anziché del padre. La classe dei “vassalli”, “imrad”, è costituita dai cosiddetti servi, cioè da quelli che hanno il compito di prendersi cura del bestiame. L’artigianato è praticato nell’hoggar (oasi) dalle donne, sotto la tenda, oppure dai domestici e dagli uomini; ma esiste anche un artigianato professionale svolto da una casta particolare, gli “ineden”. Anticamente fabbricavano le armi: la spada, la lancia, il giavellotto, il pugnale. Oggi fabbricano soltanto qualche coltello che serve a sacrificare animali o a radere la barba e un arnese di ferro chiamato “iremdan” composto da una lama, una lesina, una pinza. La lavorazione del legno, che un tempo era molto attiva, sta scomparendo e gli utensili ora sono fatti di alluminio o di plastica. I “fabbri” sono i grandi orefici del deserto. Lavorano solamente l’argento e il rame. Con il fuoco cesellano gioielli con forme e motivi dal significato antico. I gioielli che fabbricano sono: grossi ciondoli, orecchini, anelli, braccialetti. Le Croci le portano al collo ed identificano la tribù di appartenenza; Un tempo venivano usate come moneta di scambio. Sono simbolo di fecondità e portafortuna a chi le indossa. Secondo alcuni studiosi la forma a croce è di derivazione cristiana: occorre infatti ricordare che prima dell’invasione Araba in tutto il grande bacino sahariano, tra le popolazioni berbere originarie di questi territori, il Cristianesimo era diffusissimo, e solo in seguito venne sostituito dall’Islam. La takouba (takooba takuba) è la spada tradizionalmente associata ai Tuareg, che ebbero reputazione di autentici guerrieri e banditi grazie alla diffusione di una falsa storiografia ed ad un superficiale e sommario studio delle loro abitudini sociali e culturali, a tutto vantaggio della mentalità colonialista dell’Europa di fine ‘800 ed inizio ‘900. Si tratta di una spada dalla grande lama diritta e a doppio taglio, mediamente lunga dai 74 agli 84 centimetri, ed una semplice guardia, la takouba. La tipica lama termina, soprattutto ai margini, con una punta arrotondata. I bordi possono essere irregolari a causa di ripetute affilature, soprattutto vicino alla punta. Il metodo di affilatura dà un aspetto striato irregolare sulle superfici della lama adiacenti ai bordi, da mezzo a un centimetro di larghezza. L’area tra i 20 e 30 centimetri dall’elsa è, spesso, non affilata. La parte restante della lama ha di solito un aspetto grossolano, venato e eroso. I loro vestiti sono costituiti dal cosiddetto “burnus,” ampio vestito di lana che lascia circolare l’aria ma che, nello stesso tempo, li copre interamente per ripararli dal caldo secco del giorno. Dal freddo pungente della notte e dalle tempeste di sabbia. Se non fossero vestiti così, morirebbero in pochi minuti per disidratazione di giorno e per il gelo la notte. Il taghelmoust, simbolo dell’identità Tuaregh, è un lungo velo (può arrivare sino a sette / otto metri), tinto con l’indaco che viene arrotolato attorno alla testa, fino a coprire il volto. Non è assolutamente per un senso estetico, ma serve per ripararsi dal vento, dal sole e dalla sabbia del deserto. L’uso comporta la comparsa di riflessi particolari, dell’intera gamma dei viola: per preservarne l’esistenza, il Taghelmoust non viene mai lavato. il sudore dell’epidermide del viso stinge il velo, e riflessi bluastri colorano la pelle del Targui che lo indossa: Uomini Blu. Una leggenda Tuaregh racconta che essi portano il velo per la vergogna di una sconfitta subita in tempi antichi e mai riscattata. Il Taghelmoust è un indumento di grandissimo valore, tanto che, ai nostri giorni, raramente viene indossato: ad esso il Targui sostituisce,nel quotidiano, uno cheche nero o bianco il Taghelmoust viene indossato prevalentemente in occasione di cerimonie o feste particolari. I Tuaregh vivono spostandosi nelle loro tradizionali piste, da un pozzo all’altro, allevando dromedari e coltivando palme da dattero che, insieme al latte di dromedario, costituisce il loro principale alimento. Ognicabila (tribù)ha le sue palme in oasi diverse in quanto la scarsezza di vegetazione rende necessari continui spostamenti per il nutrimento dei cammelli. Quando per un motivo qualunque rimangono senza acqua, si seppelliscono fino al collo nella sabbia per evitare il disidratamento e, in casi estremi, sistemano i neonati dentro il ventre dei dromedari uccisi, per mantenerli all’umido. Quando qualcuno viene morso da una vipera, poiché il vaccino a causa del caldo spesso non fa effetto, lo scuotono per ventiquattro ore per impedirgli di addormentarsi. I nomadi hanno scarse occupazioni; dedicano molto tempo alle conversazioni, bevono il the, ricordano il passato, coccolano i loro figli, organizzano matrimoni; Ma questo all’imbrunire, dopo che sono state completate tutte le loro mansioni che sono egualmente divise fra i vari componenti la comunità. I ragazzi più grandi conducono il bestiame al pascolo, trattenendosi fuori praticamente tutto il giorno insieme con i feroci ma preziosi cani dell’accampamento. Le donne si occupano di tutte le faccende dell’accampamento: Montare la tenda che è costituita da un ambiente assai spazioso ricoperto da tappeti, provvedere al rifornimento di acqua attingendola ai pozzi con otri di pelle, lavorare il latte per produrre burro, formaggio, yogurt, macinare ed impastare la farina, tessere i tappeti ecc. Gli uomini, invece, coltivano le arti marziali, si dedicano alla caccia e difendono la tribù. Le case dei Tuaregh che possiedono terre sono rettangolari, con tetto a terrazza, costruite in mattoni o in pietra. Le abitazioni dei nomadi sono invece la tenda o la capanna smontabili, ricoperte in genere da pelli di muflone o di pecora, cucite tra loro. La tenda dei nomadi è coperta da tante strisce di tessuto larghe circa un metro cucite fra loro e sostenute da paletti di legno. Vi si accede da un’unica apertura che è volta ad oriente, verso la Mecca. Non mancano i tappeti che proteggono dalla polvere e sono ottimi letti. L’altezza della tenda è di circa due metri e lo spazio da essa occupato misura circa 5 m.x 4. Nella zona dell’Air si usa la capanna a pianta circolare, formata da un intelaiatura di rami ricurvi ricoperti da stuoie di graminacee o foglie di palma. Tra i nomadi tuaregh del Niger c’é un’usanza che ha valore di vero istituto sociale, anche se affidato esclusivamente alla trasmissione orale: la vita dei nomadi tuaregh é legata alla mandria di bestiame e quando una famiglia, per disavventura perde il bestiame, e quindi si trova in grave difficoltà di sopravvivenza, un’altra famiglia che possiede una buona mandria presta alcuni capi di bestiame perché la famiglia in difficoltà possa ricostituire la sua mandria. Tutto é regolato da norme precise e minuziose: passato il tempo necessario, i capi di bestiame vengono restituiti, senza alcun interesse. I Tuareg parlano una lingua propria e hanno una propria scrittura La lingua parlata dei berberi tuareg si chiama tamachek, mentre quella scritta prende il nome di tifinagh. Essa può essere scritta e letta in senso orizzontale da destra a sinistra, da sinistra verso destra, in senso verticale dall’alto al basso e dal basso all’alto ed anche trasversalmente in diagonale, da destra a sinistra e viceversa. I caratteri derivano direttamente dal metodo di scrittura geroglifico degli Egizi, cioè le lettere, oltre ad avere una valenza fonetica, presentano per la tradizione esoterica del popolo imazighen (tuareg) una valenza simbolica, capace della trasmissione di forti significati trascendenti. Le due linee verticali parallele sono la lettera I, dal valore astrale di terra, La forma aC rovesciata è il fonema Iem, che rappresenta l’acqua, l’intelligenza umana ed è l’anima del mondo. La linea zigzagante è la lettera Ipsilon. Essa equivale alla scoperta, all’attesa di un responso; ha il valore umano dell’evidenza del fatto compiuto è il valore dell’azione di riuscita, di ottenimento del sapere. È lo sforzo dell’uomo per capire. Il cerchio equivale al suono della nostra lettera R; È la rappresentazione astrale della luna, raffigura il sesso femminile e ha nell’azione la forza della fecondità. Il cerchio con il punto centrale è il fonema S sibilante, mentre il cerchio raggiato con il punto ha il suono enfatico S’ad (inesistente nella lingua italiana). Esso ha il valore simbolico del sole, la forza virile e nell’azione è il principio fecondante. La linea verticale è la lettera Nun, il suo valore simbolico è il cielo, la scienza e la potenza creatrice. La croce è la lettera T, nella simbologia è la stella o le stelle, la verità e la beltà, punto di origine della sorgente (non solo il punto d’acqua ma anche la sorgente dei sentimenti). È molto interessante constatare che tra i tuaregh è anche diffusa una sorta di lingua muta, trasmessa con i gesti delle mani, usata per messaggi segreti in particolari trattative commerciali o nelle relazioni amorose. A differenza di quanto accade nella nostra società, la musica Tuareg, ha diverse funzioni oltre che a quella di divertimento; In effetti accompagna il canto e la danza nei momenti importanti della vita sociale e religiosa di un gruppo: la nascita e la morte, la semina, il raccolto, la caccia, la pace e la guerra. Tutti, compresi i bambini piccoli, partecipano alla danza; questi ultimi sono legati al dorso della madre. I tindé sono i canti d’amore che gli uomini cantano nell’agal (corte d’amore) durante una festa per conquistare la donna amata. I bivacchi nel deserto, intorno al fuoco, sono momenti unici. Il tè, forte e zuccherato, deve essere bevuto almeno tre volte. Ai giovani con i racconti intorno al fuoco, la sera, negli accampamenti, si insegna a sopportare la sofferenza, senza lamentarsi; piangere è un disonore, chiedere cibo e acqua una debolezza, ecco la scuola tuareg. Vi si insegna a ribellarsi, mai a mendicare. Presso i Tuareg la musica non si apprende: tutti fanno la musica; Si prende uno strumento e si suona, si canta e si danza. Le donne rivestono un ruolo centrale: suonano l’imzad, la viola monocorda, fanno il “tendé”cantano e ritmano con la battuta delle mani. Il liuto, tehardent, è riservato all’uomo che impara a suonare in famiglia, per tradizione. Chi suona il liuto è l’aggouten, il cantastorie: egli racconta quello che succede, dona coraggio, racconta di chi fa bene e chi fa male, narra le storie degli avi e delle generazioni attuali; Agli attraverso la musica è il guardiano della tradizione e la storia è trasmessa attraverso i canti. La musica accompagna le feste civili e religiose e tutti gli eventi della vita, il matrimonio, il divorzio, il corteggiamento. Si canta la pace, l’amore, l’esilio, l’unione dei Tuareg e anche la politica. Gli strumenti della musica tuareg sono il “tendé”, l’imzad, il liuto, la darbuka, e i suoni, oltre a quelli degli strumenti, dal battito delle mani delle donne, dalle battute dei piedi degli uomini, dalle grida degli uomini e dalle grida delle donne (Tarhalelit). Nella musica tuareg attuale è presente anche la chitarra acustica. Quando il periodo delle piogge è al culmine i nomadi tuaregh abbandonano i pascoli oramai riarsi dal sole, e si spostano verso nord tra Ingal e Teguidda -n- Tessoum, per consentire alle mandrie di ricostituirsi e rigenerarsi grazie all’abbondanza di sale nel terreno. In questo periodo che solitamente non dura più di uno o due mesi (dipende dall’abbondanza delle piogge e dei pascoli), le famiglie nomadi confluiscono in queste zone e si incontrano. Il momento è propizio per le feste, i giochi e i matrimoni. Sia gli uomini che le donne si abbandonano alla vita sociale, indossando gli abiti tradizionali. Le donne con le camicie di velo nero o bianco ricamate con i motivi a stella, gli uomini ostentano il taguelmoust,il velo colore indaco del miglior tessuto in segno di benessere e rango sociale. I gioielli delle donne orgogliosamente offerti alla vista di tutti: croci d’argento, zecchini dorati, pendenti come i tanfouk di corniola o i khomissar in osso, e i tcherot, contenitori di talismani in argento e ottone. Questi ultimi sono portati anche dagli uomini, assieme all’inseparabile tabacchiera e alla takouba, la lunga spada che oggi è solo un motivo decorativo, in quanto sono terminati i saccheggi e le razzie e c’è ben poco da cui difendersi! Una delle attrazioni più seguite sono le fantasie sui mehari e la corsa è lo sport preferito. Una vera e propria gara di velocità e resistenza che dura parecchi km, al vincitore e al dromedario si buttano delle banconote in segno di vittoria. I cavalieri sono incitati dalle donne, che sedute in cerchio cantano e battono le mani seguendo il ritmo del Tende, il tamburo di pelle di capra. Un cavaliere si impossessa del fazzoletto di una donna e viene rincorso dagli altri; Vince quello che riuscirà a riportare l’oggetto della contesa al cerchio, per essere applaudito ed acclamato vincitore. Allineati l’uno di fianco all’altro i dromedari hanno le selle finemente bardate, e il pomo a forma di croce vanto degli artigiani dell’Air. È possibile osservare così le varie tribù e le persone di un certo rango sociale, dal tipo di abbigliamento e dal modo di avvolgere il turbante. Più l’uomo sarà importante e più si coprirà il volto lasciando intravedere solo gli occhi, porterà il velo color indaco che riluce di metallico. In origine animisti, i Tuareg sono stati convertiti all’Islam 1200 anni fa dagli arabi, anche se mantengono intatte alcune delle loro tradizioni animiste e hanno modificato alcune di quelle mussulmane:
È l’uomo e non la donna a tenere il volto coperto;
Non sono soliti pregare cinque volte al giorno rivolti verso la Mecca;

Gli uomini sposano generalmente una sola donna anche se è concessa la poligamia. Credono negli spiriti buoni e cattivi detti ginni che abitano fra le montagne, nelle oasi, negli alberi e nei pozzi. Gli spiriti sono conosciuti dalla donna che al momento del parto entra in contatto con essi: oltre alle voci di trapassati sentirà la voce o meglio le mille voci degli spiriti dell’acqua che non possono uscire dalle sorgenti altrimenti il caldo del deserto li ucciderebbe. Conosce anche gli zini, spiriti aerei che parlano tramite il vento e si materializzano in turbini o tempeste. Altri spiriti galoppano aggrappati alla schiena delle lepri e portano alla follia; Talvolta, saranno trasportate da una mongolfiera o da prodotti artigianali in lontanissimi paesi dove vivono le persone scomparse. Vi è il culto dei morti e si crede nella reincarnazione. Le persone vengono seppellite con dei datteri in mano. Prima di abbattere una pianta i Tuareg praticano un rito perché, per motivi religiosi devono far scappare i ginni che questa contiene. Secondo una loro leggenda il Sahara sarebbe nato perché Allah, in collera con gli uomini, decise un giorno di punirli facendo cadere sulla Terra un granello di sabbia per ogni loro peccato. E dove un tempo c’erano fiumi e savane, dove correvano leoni e gazzelle, nacque il Sahara, il padre di tutti i deserti. Per quanto riguarda la morale essa è nettamente differente dalla nostra e da quella islamica pura. La verginità non viene tenuta in grande considerazione. Alla maturità (coincidente con la prima ovulazione), la Targuia può innalzare una tenda personale, che è la prima proprietà della sua vita. Alla perdita della verginità (solitamente in occasione delle famose “Feste Amorose”) viene semplicemente cucito un lembo di tessuto particolare sulla veste dell’interessata, a dimostrare che essa è ormai completamente donna. Da quel momento la Targuia può ritenersi libera di invitare chiunque lei voglia nella propria tenda, senza fare con questo nulla di disdicevole. Le Ahal, “Feste amorose”, sono originarie dell’Hoggar Algerino, e da esso si sono diffuse tra tutti i Tuaregh. A queste feste o raduni partecipano i giovani e le donne in età da marito. In occasione di queste manifestazioni i ragazzi possono scegliere le proprie donne, cercando di conquistarle con rime ardenti di passione e danze (di qui il termine “Feste Amorose”).

Donna di Sabbia
La natura ti ha fatta bella
Come l’oasi nel deserto
Vivi nel Sahara immenso
Come immensa è la tua cultura
Il tuo viso senza velo
Sfida i venti di sabbia
Donna del vento e del sole
Stella del deserto
La tua luce illumina i tuoi pretendenti
Nei loro viaggi lontani
Tra deserto e savana
Donna del sole e del vento
Ti corteggiano soli i mufloni
Invisibili di giorno
Invisibili di notte
Mufloni del deserto
Che ti svegliano di notte
In mezzo ai tuoi sogni
Per realizzare il tuo sogno
Di un vero amore.

La suddivisione del loro territorio in confini di Stati Sovrani ha provocato notevoli problemi, a partire dalla difficoltà insita nell’attraversare confini di Stato in occasione delle Grandi Transumanze. Attualmente l’etnia si ritrova spartita in cinque Nazioni diverse: Mali, Niger, Algeria, Libia e Burkina Faso. La grande maggioranza dei Tuaregh si concentra nel Mali e nel Niger,seguiti dall’Algeria. I nobili e fieri dominatori del Sahara corrono oggi il rischio di scomparire, schiacciati dalla civiltà moderna che sta cancellando la loro cultura secolare. Le lunghe carovane di un tempo sono sparite in quanto il grande commercio transahariano si svolge su automezzi pesanti o per mezzo di aeroplani e le piste del deserto sono percorse da fuoristrada carichi di turisti. Di conseguenza gli ex schiavi cercano lavoro nelle imprese petrolifere mentre i nobili continuano ad allevare dromedari sempre più inutili. Nell’Africa di oggi sembra non esserci spazio per un popolo di nomadi tenacemente attaccato alla propria indipendenza e diversità. Le autorità hanno avviato politiche di sedentarizzazione forzata che hanno prodotto risultati disastrosi: Sradicati dal loro habitat e imprigionati nei caotici ritmi delle città, i Tuareg sono stati relegati ai margini della vita sociale. L’irrequietezza di questo popolo, che rivendica la propria identità e che culla il sogno di uno stato indipendente, rimane inascoltata dalla comunità internazionale.

“Che importa se tremi nella notte o se sei assetato sotto il sole…
E’ il senso del Deserto l’aver sete di giorno e freddo nella tenebra.
Ma se alzi il tuo viso verso il cielo non hai altro da fare
per ricevere in dono il sole e le stelle…
E ti sentirai felice…”.

La pazienza è un albero: le radici sono molto amare, ma i frutti dolcissimi…

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Written by Laura Rossi

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