La fine di Rasputin
Il Palazzo di Yusupov è uno dei luoghi più misteriosi e pieni di reminiscenze enigmatiche di San Pietroburgo. La sua storia è strettamente legata alla famiglia Yusupov che era tra le famiglie più ricche e nobili della Russia anti-rivoluzionaria. L’edificio del Palazzo è un bel esempio del classicismo russo con la sua grandezza quieta e una grazia laconica. L’episodio più famoso che riguarda il Palazzo è l’assassinio d’un mediatore leggendario della corte zarina, Grigory Rasputin. Gli Yusupov possedevano una collezione ricca di pittura, scultura e arte applicata. Nel 1918, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il palazzo fu confiscato. Una parte della collezione fu venduta, e parzialmente trasferita all’Ermitage.
Rasputin
“Il nostro amico”. Così, nelle sue accorate lettere inviate al fronte all’imperiale consorte, la zarina Alessandra definiva Rasputin, il “contadino” giunto alla corte di Nicola II in un giorno del 1905, e che per undici lunghi anni avrebbe esercitato la sua oscura, ambigua e letale influenza sulla famiglia imperiale e finanche sui destini politici della Russia. Fino a quella fatale notte di dicembre del 1916 in cui trovò la morte per mano di un gruppo di congiurati – espressione della più alta aristocrazia russa – colui che la stampa schierata all’opposizione definiva il “monaco pazzo” rappresentò agli occhi dell’opinione pubblica più evoluta il simbolo vivente dei mali della Russia, del distacco tra lo Zar e il suo popolo.
Per il remissivo Nicola, ma soprattutto per l’instabile ed emotiva Alessandra, quell’uomo rozzo e apparentemente genuino, dallo sguardo magnetico e dalle doti mistiche (pare riuscisse a curare l’emofilia di cui era affetto il piccolo zarevic Alessio) venne a rappresentare il simbolo di una Russia che in quegli anni stava agonizzando davanti ai loro occhi: la Russia contadina dei mugik, semplice e devota allo Zar e al suo potere autocratico concesso da Dio. Negli stessi anni in cui uomini come Lenin, Trotzkj, Kerenskj combattevano una cruenta lotta per il potere che avrebbe mutato la Russia facendola precipitare nel ventesimo secolo, a corte il tempo pareva essersi fermato. Un’aristocrazia annoiata e incosciente accettò nel suo mondo la presenza di Rasputin dapprima con un senso di snobistica novità, poi con un misto di riverenza religiosa (di cui il “monaco erotomane” approfittò per circuire un numero spropositato di nobildonne) e rispetto per il “buon contadino della vecchia Russia”. Solo quando il potere di Rasputin cominciò a sconfinare dalla mondanità nella sfera politica, e solo quando parve che la famiglia imperiale dipendesse da lui anche nelle più importanti decisioni, i più accorti uomini politici e membri dell’aristocrazia si resero conto che quell’uomo andava fermato. La morte di Rasputin non portò però i risultati auspicati dai nobili congiurati. La coppia imperiale si isolò maggiormente dalla realtà quotidiana del paese, e si convinse di dovere difendere a tutti i costi il sacrosanto potere assoluto e autocratico che per secoli era spettato allo Zar. Nemmeno un anno dopo quello stesso potere assoluto passava a Lenin e ai suoi uomini. Sulle macerie di una Russia anacronistica e sul sangue della famiglia imperiale trucidata prima che potesse fuggire all’estero nasceva un nuovo Zar: il Partito bolscevico. Grigorij Efimevic Rasputin era nato nel luglio del 1871 a Pokrovskoe, un piccolo villaggio siberiano nella provincia di Tobol’sk, non troppo distante dai monti Urali. Lo stesso anno – segno della sua imminente “discesa tra gli uomini”, si sarebbe poi detto – era caduto in Siberia un enorme meteorite che aveva portato grossi sconvolgimenti nella regione. Figlio di Efim Akovlevic e di Anna Egorovna, Rasputin condusse i primi anni della sua vita senza allontanarsi dal suo piccolo mondo rurale, anche perché il padre – un uomo autoritario, secondo le semplici regole dei contadini – sosteneva che “le scuole rendevano gli uomini immorali e li allontanavano dalla religione”. Per questo motivo il giovane Grisha (come lo chiamavano in famiglia) crebbe nella più assoluta ignoranza, lavorando nei campi accanto al fratello Misha (Michail). Il destino “visionario” di Grigorij Rasputin cominciò con una tragedia: caduto nei terribili gorghi gelidi del fiume Tjura insieme a Misha, Grisha riuscì a trarre in salvo se stesso e il fratello, contraendo però una grave forma di polmonite. Michail, per la stessa malattia, morì dopo qualche settimana, ma Grigorij – di tempra più robusta, che lo caratterizzerà per tutta la vita – cominciò un lungo periodo di degenza, con forti attacchi di febbre durante uno dei quali ebbe una visione: secondo le sue parole, la Vergine Maria gli apparve e il ragazzo guarì improvvisamente. Dopo questa esperienza Grigorij cominciò ad interessarsi maggiormente alla religione ed al mondo degli starec, monaci e profeti erranti che venivano accolti con assoluto rispetto nei villaggi russi. I racconti di questi uomini affascinavano Rasputin, che non mancò di notare come la gente semplice pendesse dalle loro labbra e fosse particolarmente munifica nei loro confronti. Durante il periodo dell’adolescenza, il giovane Grigorij ha modo di svilupparsi fisicamente in modo notevole e scopre di possedere un carisma speciale nei confronti delle donne. Il suo sguardo intenso e allucinato possiede qualcosa di magnetico, le sue parole – seppur quelle semplici di un’analfabeta – suonano convincenti alle orecchie della gente con cui viene a contatto. Dopo un breve intenso (e impossibile) amore con Irina, la figlia di un generale (tale Kubasov), a vent’anni Rasputin si sposa con Praskovia Fedorovna Dubrovina. Da lei ha un figlio, che però muore dopo pochi mesi. Il dolore per la perdita del piccolo lo porta ad avere una seconda visione, un giorno, in un bosco. La Vergine gli intima di lasciare tutto e partire. Rasputin diventerà così uno starec. E’ in questo periodo che viene a contatto con esponenti di una setta non ortodossa considerata illegale, ma molto popolare in Russia: i chlisty. Questa setta è molto critica nei confronti della Chiesa ortodossa ufficiale e la accusa di corruzione e decadentismo. La visione religiosa dei chlisty è molto particolare: l’uomo può purificarsi dal peccato solo in un modo, abbandonandovisi totalmente e, attraverso il pentimento che ne segue, ascendere alla catarsi. Fisicità e religiosità si sposano equivocamente in questo credo eretico che fa del rito erotico e delle congiunzioni carnali, anche di gruppo, una delle sue caratteristiche fondamentali. Con queste teorie “salvifiche” Rasputin riuscirà in futuro ad insidiare le più belle donne della corte zarista. Il percorso nomade di Rasputin che, dopo un indottrinamento di un anno al convento di Verchoturje, si considera “monaco” a tutti gli effetti, tocca città come Mosca, Kazan, Kiev. Tornerà poi al villaggio natale, dove erigerà con l’aiuto di alcuni fedeli una chiesa personale in concorrenza con quella ufficiale. Nonostante i preti ortodossi lo accusino di praticare i riti dei chlisty, egli non lo ammetterà mai e riuscirà sempre a difendersi. Con il passare del tempo cominceranno a venire al suo cospetto numerose persone da tutta la regione e la sua fama comincerà a diffondersi. E’ a questo punto che decide di partire per San Pietroburgo per venire a contatto con le figure più eminenti della chiesa russa. E ci riesce.Yusupov transiberiana crociera visto russo viaggio uzbekistan Grazie alle conoscenze di influenti religiosi come Ivan Sergeev di Kronstadt, favorito dello Zar, e Il’jodor, vescovo di Caricyn e fautore del panslavismo, iscritto alla loggia nazionalista dei Veri Russi, Rasputin comincia ad entrare lentamente non solo nelle alte sfere del mondo dei pope ortodossi, ma anche in quelle dell’alta società pietroburghese. Nel salotto di Olga Lochtina, moglie di un consigliere di stato, Rasputin viene a contatto con personaggi come Anna Vryubova, le granduchesse Anastasia e Militza, figlie del re del Montenegro e il granduca Nikolaj Nikolaevic. Da qui alla famiglia imperiale il passo sarà breve e naturale. Il destino porta Rasputin alla corte dello Zar in conseguenza di un fatto drammatico. Il figlio prediletto della zarina Alessandra, Alessio, è affetto da emofilia e attraversa una crisi gravissima. Nessun dottore sembra riuscire a trovare una cura e alle orecchie dell’Imperatrice, tramite l’intervento della granduchessa Anastasia, giunge il consiglio di ricorrere a quell’uomo “santo” e dagli strani poteri di nome Rasputin. Nelle lunghe sere in società lo starec siberiano aveva partecipato a sedute spiritiche e a “guarigioni” durante le quali aveva manifestato poteri fuori del comune. Non si saprà mai se si trattasse di allucinazione collettiva o di reali poteri taumaturgici del monaco-contadino, fatto sta che la fama di “purificatore” di Rasputin non era rimasta sconosciuta nemmeno alla coppia imperiale. Rasputin viene finalmente ricevuto a Palazzo: corre l’anno 1905. Già dal primo contatto con il piccolo Alessio, riesce ad arrestare con la forza della persuasione e della preghiera il flusso di sangue che lo sta mortalmente indebolendo. Molte possono essere, oggi, le spiegazioni di quel prodigio; tra queste il fatto assodato che una forte emozione in un individuo affetto dall’emofilia può portare ad una temporanea guarigione. In quella drammatica sera di inizio secolo – e agli occhi dell’emotiva e religiosissima zarina – l’evento può solo assumere i contorni del miracolo. Da quel giorno Grigorij Efimevic Rasputin diverrà l’ombra dell’Imperatrice, il “buon’uomo” salvatore di Alessio, “il nostro Amico”. Si creerà, tra il monaco e la zarina, un legame fortissimo, che molti arriveranno a considerare ambiguo. Questo tipo di legame diverrà pericoloso negli anni a ridosso della Rivoluzione, quando Alessandra – fermamente convinta del potere autocratico dello Zar, e decisa a farlo mantenere a un marito che invece non sembra smanioso di goderne i privilegi – costituirà un’alleanza con Rasputin in chiave fortemente conservatrice. Per moltissimi anni la presenza di Rasputin a corte sarà vista come un’anomalia sopportabile da chi lo avversa e un motivo di interesse per chi ne subisce il fascino. Soprattutto le donne. Il monaco dallo sguardo magnetico parteciperà a lungo a banchetti e ricevimenti dove, seguendo alla lettera la propria filosofia chlisty, si abbandonerà ad ogni tipo di piacere. In presenza della famiglia imperiale, però, manterrà sempre una condotta irreprensibile, atteggiandosi a tutore dello zarevic Alessio e suo protettore. Tutti i rapporti della polizia segreta e dei deputati della Duma sulla condotta di Rasputin che arriveranno sulla scrivania dello Zar verranno sempre considerati maldicenze ordite dall’intellighenzia liberale. Nel marzo del 1915 un grosso esponente della gendarmeria – tale Dzunkovskij – oserà informare lo Zar che Rasputin si vantava in pubblico di poter manipolare a suo piacimento l’Imperatrice. Per tutta risposta fu licenziato e spedito al fronte. Rasputin non è assetato di lussuria e potere – assicurano i coniugi imperiali – tanto che ha rinunciato addirittura all’investitura per il vescovado di Tobol’sk, una delle diocesi più importanti dell’impero, propostagli dallo Zar in persona. Il furbo monaco-contadino sa che può esercitare la propria influenza maggiormente a corte piuttosto che condurre una vita da religioso (seppur riverito) lontano dalla capitale. Ma per Alessandra e Nicola il “gran rifiuto” è solo l’ennesima prova della santità dello starec siberiano. Il destino di Rasputin resta segnato quando la Russia si getta nella Grande Guerra. Il conflitto, che avrebbe dovuto essere breve, si rivela una lunga carneficina. Le convinzioni religiose di Rasputin, seppur discutibili, sono comunque improntate ad un acceso pacifismo, alla fratellanza tra gli uomini. La guerra, con il suo macello di mugik (come lui) mandati al fronte avvilisce il monaco-contadino che, nell’autunno del 1915, comincia a pensare di poter influire sulla zarina Alessandra – reggente in vece di Nicola partito per il fronte – per condurre la Russia alla pace. Questa mossa, insieme a molte altre che porteranno alla nomina di ministri voluti dall’ “amico della tedesca” (come era chiamata Alessandra, principessa di origini tedesche), renderanno Rasputin inviso a molti poteri: la casta militare, l’aristocrazia nazionalista, la destra, ma anche l’opposizione liberale. Nasceranno così le teorie di complotto e delle “forze oscure”, dei traditori all’interno del paese (con chiare allusioni a Rasputin e alla zarina) che vendono informazioni alla nemica Germania. Voce principale di questi attacchi è il deputato di estrema destra Vladimir Puriskevic: in un discorso agli inizi di dicembre del 1916, il politico – acerrimo nemico di Rasputin – afferma pubblicamente di “sollevare il paese contro i suoi nemici interni, e in particolare contro il nominato Grigorij Efimovic Rasputin, affossatore della Russia e della monarchia”. E’ solo uno dei passi che porterà alla caduta in disgrazia di Rasputin il quale, in un momento drammatico come quello del conflitto mondiale, assurgerà a uno dei capri espiatori delle continue sconfitte subite dall’esercito russo al fronte. Rasputin non fa nulla per difendersi dalle accuse, anzi le alimenta continuando le proprie manovre politiche per pervenire ad una pace immediata. Negli incontri con i personaggi più influenti che gravitano intorno alla corte non manca di sostenere tesi pacifiste e riconciliatorie nei confronti della Germania. Sembra, inoltre, che Rasputin fosse divenuto bersaglio anche dell’Intelligence Service britannico, che temeva un disimpegno militare della Russia. La Germania, infatti, avrebbe potuto liberare il fronte orientale per riversare le sue truppe contro gli Alleati. Tra il 1915 e il 1916 Rasputin non conduce una vita irreprensibile, e non solo dal punto di vista sessuale: si parla con insistenza di mazzette che riceve da influenti membri del governo per poter intercedere presso la zarina (il ministro Protopopov era tra questi). Un ultimo tentativo per riuscire ad allontanare da corte il monaco è affidata al primo ministro Trepov, che offre a Rasputin una somma in rubli spropositata per lasciare la capitale immediatamente e tornarsene in Siberia. Rasputin non cede al tentativo di corruzione e ne informa la zarina. Il prestigio dell’ “unico amico della famiglia imperiale” assurge ai massimi livelli, dopo questa dimostrazione di fedeltà e attaccamento alle sorti della Corona. Di fronte a questa ennesima vittoria di Rasputin, non resta che il complotto omicida. E ad ordirlo non saranno membri dell’intellighenzia liberale e progressista, che comunque vedevano in quel contadino visionario e religioso un simbolo dell’immobilismo conservatore che stavano cercando di abbattere, bensì uomini appartenenti alla più pura aristocrazia russa, e per un opposto motivo. Liberare lo Zar e la sua famiglia dalla nefasta influenza di quel mugik che stava indebolendo la Corona e molto probabilmente aspirava al potere assoluto. Il complotto che avrebbe dovuto eliminare Rasputin fu ordito da un folto gruppo di personalità. I più rappresentativi erano sicuramente il granduca Dmitrj Pavlovic, il già citato Puriskevic e l’ambiguo principe Feliks Jusupov. Quest’ultimo era una figura molto particolare dell’alta società pietroburghese: effemminato (molto probabilmente di tendenze omosessuali), grande ammiratore di Oscar Wilde e ossessionato dal desiderio di passare alla storia, ma allo stesso tempo pavido e inconcludente, Feliks era già venuto in contatto – negli anni precedenti – con il magnetico starec di corte. Tra i due si era venuta a creare una strana sintonia, e sembra che Rasputin fosse in un certo modo affascinato dagli atteggiamenti del giovane aristocratico, così diverso da lui. Altro particolare non trascurabile – e intrigante per il monaco – Jusupov era sposato con una delle donne più belle di Russia, Irina Aleksandrovna, la quale era di carattere estremamente riservato e appariva di rado in società. Feliks Jusupov, benché negli ultimi anni avesse imparato a disprezzare Rasputin, cominciò ad avvicinarvisi e a frequentarlo con regolarità. Per diversi mesi il giovane principe e il rozzo contadino siberiano si incontrarono in serate dedicate alla musica (Jusupov suonava e cantava con perizia) e alla danza, che Rasputin amava spassionatamente. La tela di ragno che avrebbe dovuto intrappolare Rasputin si andava tessendo giorno dopo giorno, fino alla data prefissata, che avrebbe dovuto cadere nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1916. Nel frattempo alcune voci su possibili attentati al monaco circolavano per la capitale, e lo stesso Rasputin non mancava in qualche occasione mondana di predire il proprio triste destino, collegandolo ad un’inevitabile conseguente “fine della Russia”. Nelle ultime settimane prima dell’agguato era stato convinto a lasciare raramente la propria abitazione in via Gorohovaja 64, e lo stesso ministro Protopopov lo aveva avvertito dell’esistenza di un complotto per eliminarlo. E arrivò la notte del 16 dicembre. L’uccisione di Rasputin era stata studiata nei minimi particolari: Jusupov disse al monaco che sarebbe passato a prenderlo per portarlo nella sua bellissima casa, dove avrebbe conosciuto la moglie, gozzovigliato con pasticcini e madera (il liquore preferito dal siberiano) per poi recarsi nel quartiere zigano per una probabile orgia. Dopo la mezzanotte, la carrozza del principe Jusupov (alla cui guida – travestito – stava uno dei cospiratori più importanti, quel dottor Lazavert che preparò il potente veleno che avrebbe dovuto eliminare Rasputin) caricò la vittima predestinata, vestita per le grandi occasioni. Le strade della capitale, in quella fredda notte di dicembre, erano deserte, e pochi occhi indiscreti avrebbero potuto fare da testimoni. Lo stesso Rasputin – su consiglio di Jusupov – aveva evitato di dire ad alcuno dove si recava. La scena del delitto fu in un salotto di casa Jusupov. Per due interminabili ore Rasputin attese l’arrivo dell’affascinante moglie di Jusupov (che tra l’altro non era nemmeno in città), intrattenuto dal principe con la musica, e degustando i famosi pasticcini e madera avvelenati. Il resto dei congiurati aspettava al piano superiore. Con grande sorpresa e sgomento del già emotivo principe, il rozzo mugik siberiano resisteva all’effetto del veleno (cianuro potentissimo) che aveva assimilato in quantità impressionanti, attraverso innumerevoli sorsi del vino liquoroso. Che fosse veramente un super-uomo dai poteri paranormali ? Ai primi sintomi di debolezza di Rasputin, Jusupov, in preda al panico e col pretesto di chiamare un dottore, salì al piano superiore dove convenne con gli altri congiurati di eliminare il monaco con un colpo di pistola. Se Rasputin avesse abbandonato la villa il piano sarebbe miseramente fallito. Le testimonianze a questo punto sono confuse. Non si sa con certezza chi fu a sparare a Rasputin, se lo stesso principe Jusupov, il deputato Puriskevic o il granduca Dmitrj Pavlovic. La cosa sconvolgente fu che, gonfio di veleno e colpito vicino al cuore, Rasputin riuscì a riprendere conoscenza, a raccogliere le forze per uscire dalla villa (mentre i congiurati in un’altra stanza decidevano che fare del “cadavere”) e a gettarsi in fuga nel giardino innevato verso il cancello d’uscita e la salvezza. Rincorso e raggiunto a pochi passi dal cancello dai congiurati, fu ripetutamente colpito al cranio da Jusupov con un manganello: pochi secondi e venne la morte. Con l’aiuto dei domestici il corpo di Rasputin venne avvolto in una coperta, legato e gettato nel canale Malaja Mojka. Per una sequenza di errori e di eventi sfortunati il segreto del complotto durò meno di quarantotto ore. Il 19 dicembre veniva ripescato il corpo congelato e devastato di Grigorij Rasputin. L’autopsia rivelò l’assenza di tracce di veleno nel corpo della vittima, e questa sarebbe per alcuni storici la prova che il tentativo di avvelenamento non fu nemmeno messo in atto. La zarina Alessandra accolse con disperazione la notizia, mentre diverse fonti narrano di un Nicola abbastanza indifferente all’accaduto. Negli ultimi mesi aveva infatti espresso preoccupazione per il ruolo sempre più ingombrante che Rasputin stava assumendo a corte. Forse grazie a questo atteggiamento dello Zar – ma sicuramente anche per il fatto che tra i congiurati c’erano nobili imparentati con la Corona – nessuno subì una punizione esemplare. Jusupov non venne toccato e riuscì in seguito anche ad evitare la Rivoluzione trasferendosi a Parigi e abbandonando una Russia che non era più sua. La Duma si schierò compatta a difesa di Puriskevic, che sarebbe partito con il dottor Lazovert per il fronte. Il granduca Dmitrj si sarebbe recato in Persia al seguito del generale Baratov. Terminava così l’incredibile storia di Gregorij Efimovic Rasputin, un contadino semi-analfabeta che – come nelle vecchie fiabe e leggende dell’umanità – emerse dall’oscurità di un piccolo villaggio siberiano per toccare la vetta di un potere quasi assoluto. Ben presto ci si dimenticò di quella strana figura che per anni aveva affascinato, inquietato e terrorizzato la società russa. La Russia era sull’orlo di una tragedia molto più imponente. In quell’uomo spacciato che, ferito a morte e imbottito di veleno, scappava arrancando nella neve inseguito dai suoi assassini, c’era tutta la Russia, la vecchia Russia fuori dal tempo, avvinghiata a un mondo che la storia stava spazzando via. Via: sanpietroburgo