Partiamo dall’inizio: Come e dove hai iniziato a lavorare nell’ambito dei fumetti?
Correva l’anno 2001 quando sono uscito (più o meno) vittorioso dalla Scuola di Fumetto di Milano, con una conoscenza vaga di quello che era il mondo del lavoro nel campo del fumetto nazionale e internazionale e con tante speranze in cuore. I primi anni dopo la scuola sono stati anni di affinamento delle tecniche e dello stile: la scuola mi aveva dato molto a cui pensare, ma poco tempo per farlo. Ci sono voluti anni di gavetta ed esperienza per crearmi una professionalità solida e uno stile accattivante. La prima vera svolta nella mia carriera, quella che ha segnato un netto spostamento dall’ambito amatoriale a quello professionale c’è stata nel 2006, quando Stefano Caselli, un disegnatore che lavorava per l’allora Devil’s Due Publishing americana, mi ha chiesto di collaborare come colorista sulla testata per cui disegnava. Ho colorato un paio di numeri e subito dopo è arrivata la proposta ad entrambi: entrare nella scuderia Marvel (sì, sì, la casa editrice di Spiderman e dei Vendicatori!) e iniziare a collaborare con loro a tempo pieno. E così è decollata la mia carriera nel mercato del fumetto.
Qual è il tuo background?
L’insieme delle influenze culturali e artistiche che mi hanno portato a scegliere di fare quello che faccio, sono essenzialmente due: la passione di mio padre per il disegno e per il fumetto nazionale (in particolare Tex Willer) e l’influenza dei cartoni animati giapponesi degli anni ’80 nel mio immaginario. La prima spinta è facilmente spiegabile: rovistando in cantina ho trovato centinaia di albi di Tex che mio padre aveva abilmente nascosto a me piccolino. Ormai diventato più grandicello, me li lessi tutti uno dietro l’altro, in velocissimi pomeriggi passati sulla poltrona, immergendomi nel mondo del più famoso ranger dei fumetti! Era qualcosa che non avevo mai visto prima, nè leggendo il Corriere dei Piccoli, nè il Giornalino. Era un universo nuovo in cui facevo il mio ingresso, curioso e attento come solo un bambino può essere. La seconda spinta è legata alla mia infanzia, alla rivoluzione dei cartoni animati giapponesi avvenuta negli anni ’80 e all’insieme di valori unici che essi trasmettevano. Sono convinto che abbiano forgiato la mia personalità ancor prima della mia professionalità, ma in ogni caso la fruizione di un numero così elevato di storie così sfrenatamente innovative e fantastiche ha scatenato in me la voglia di provare a costruirle, quelle stesse avventure fantastiche. E da allora non ho mai smesso.
Ti ispiri a qualche artista famoso?
Ci sono molte fonti di ispirazione per il mio lavoro, alcune provengono dall’arte, altre dalla pubblicità, altre ancora da cinema e televisione, anime e fumetti. Impossibile citarle tutte, quindi mi limiterò alle opere che di più hanno segnato la mia esistenza di lettore di fumetti, ancor prima che autore. La seconda, che ancora oggi mi devasta ogni volta che la riprendo in mano, è Sin City di Frank Miller. Quando lessi il primo volume durante la scuola, disintegrò letteralmente le mie convinzioni riguardo al fumetto. La prima rivoluzione interna aveva inizio. E avrebbe portato alla prima mia graphic novel, datata 2009: U.W.S. – United We Stand. Ma la prima rivoluzione in assoluto è avvenuta quando ho letto le opere di Masakazu Katsura, in particolare DNA2. Non la sua opera migliore, ciononostante l’impostazione così libera delle pagine, l’irriverenza dei contenuti e la mobilità estrema della storia (che passava dal genere romantico a quello fantascientifico a quello supereroistico con una facilità imbarazzante!) hanno letteralmente aperto un nuovo orizzonte nel mio modo di pensare i fumetti. Il manga (fumetto giapponese) aveva fatto breccia nel mio animo.
Oltre a questo, fai altro?
No, anche volendo non avrei il tempo di fare nient’altro, professionalmente parlando. Il fumetto è un mestiere che coinvolge interamente. Ogni fibra del mio essere, persino i momenti di pausa e di divertimento, a volte sembrano votati alla missione di fare fumetti!
Puoi spiegare cosa significa per te essere fumettista?
Significa la possibilità di avere il controllo totale sulla propria creazione. Significa occuparsi di tutti gli step che da una storia portano alla realizzazione concreta di un’opera di intrattenimento. Significa fare quello che a nessun altro intrattenitore di professione è dato di fare: iniziare e concludere un opera che racconta una storia, titanica come lavoro, da solo. Se immaginate un regista, di solito è accompagnato da una miriade di altre professionalità, sul set, prima e dopo. Il fumettista è solo, davanti ad una scrivania, con una matita in mano. È il creatore assoluto, il dio delle sue storie. Non sempre è così, ovviamente, spesso faccio parte di una catena di produzione, come in Marvel o in Bonelli. Per le grandi case editrici è sempre così, devono ottimizzare il lavoro e i tempi di produzione, quindi frazionare il lavoro. Ma esiste ed è concreta la possibilità di realizzare interamente un’opera, dall’inizio alla sua conclusione, e il solo fatto che questa possibilità esista definisce il mio lavoro. Questo è quello che penso.
Che rapporto c’è tra te e le matite?
Adesso c’è un rapporto di completa fiducia, costruito su anni di affiatamento. Mi fido totalmente dello strumento matita, più di quanto mi fidi di qualsiasi altro strumento che la mia professione mi impone di utilizzare. Penso che la matita sia lo strumento perfetto, permette una varietà di segni infinita ed è la perfetta espressione della propria unicità nello stile di disegno. Morbida, dinamica, ricca, istintiva. Può essere quello che vuoi… Direi che nutro una passione morbosa per la matita.
Come definiresti le tue opere?
Ogni opera che porto a termine è un passo. Un passo verso l’alto, tecnicamente parlando, e un passo avanti verso la missione di raccontare storie, che reputo la missione centrale nel mio lavoro. Molti reputano che il disegno sia la parte più importante in un fumetto, ma non è così. Ormai non è più nemmeno questione di pareri diversi, esistono moltissime opere che sono le prove viventi di come i disegni influiscano ben poco sull’apprezzamento di un fumetto da parte del pubblico. Quello che conta, quando fai un fumetto, è raccontare bene. E concludere la storia che hai iniziato. Tutto il resto sono bubbole.
Quale soluzione potrebbe migliorare la situazione attuale dei fumetti?
La situazione attuale del mercato del fumetto è molto complessa. E molto a rischio. I lettori raramente sono propensi a pagare per leggere fumetti, dal momento che in rete se ne trovano tantissimi gratuiti, la cui fruizione è ottima ormai (grazie a cellulari e tablet) e istantanea. Ovviamente sto parlando delle nuove generazioni, quelle che prima o poi prenderanno il posto delle vecchie nella lettura e quindi come base del mercato del fumetto. Per queste generazioni non ha senso comprare fumetti per leggerli e poi riporli su uno scaffale, come invece aveva senso per le vecchie generazioni, la mia o ancor di più quella di mio padre. I nuovi lettori vogliono essere coinvolti nella creazione, vogliono interagire con i loro autori preferiti, vogliono avere a che fare con loro, commentare, rendere il rapporto con il loro fumetto preferito unico ed irripetibile. Vogliono un grado di coinvolgimento superiore a quello a cui le vecchie generazioni sono state abituate. Questo è raggiungibile solo tramite internet (che è anche la causa di questo cambiamento repentino), dove fermamente io penso che risieda il futuro dei fumetti. Immagino il futuro del fumetto su piattaforme gratuite, in cui il pubblico diminuisce ma è più fedele al singolo autore, e in cui i guadagni del nostro mestiere tornano ad essere accettabili grazie all’azione indipendente e libera da case editrici. Il fumetto indipendente è il futuro, secondo me. Le grandi case editrici dovranno evolversi, se vogliono sopravvivere.
Di cosa trattano i tuoi fumetti?
Ho collaborato come colorista a un numero notevole di fumetti, ma in questo caso la storia e le tematiche sono state scelte da altri, non da me. Fra questi, le opere in cui ho avuto più libertà artistica per quanto riguarda la scelta dei colori, quindi della fotografia e delle atmosfere, sono state quelle Marvel (Civil War: Young Avengers/Runaways, Avengers: The Initiative, Mighty Avengers, Secret Warriors) e quelle Bonelli (Dylan Dog Color Fest, Tex Color). Per quanto riguarda i fumetti che ho fatto da solo (disegnati e sceneggiati o disegnati in collaborazione con uno sceneggiatore), eccoli qui:
RPR – Rock’n’Punch Riders.
Questa è la mia ultima creazione, totalmente indipendente, gratuita e pubblicata online su Tapastic. Potete leggerla anche ora seguendo il link. In un mondo in cui il petrolio è arrivato ad esaurirsi, l’unico mezzo di locomozione ancora utilizzabile è la ruota. Nascono nuove arti marziali che utilizzano i mezzi di locomozione a ruote come parte integrante della lotta. RPR è un manga (fumetto giapponese) ed è il mio omaggio a quello che a mio parere è la forma di fumetto attualmente più innovativa sul mercato.
Romabot Centurion.
Graphic novel in tre volumi, l’ultimo dei quali in uscita a novembre, per la fiera di Lucca 2015. Questo è il mio più che sentito omaggio ai cartoni animati robotici degli anni ’80. In un futuro post apocalittico, gli esseri umani combattono contro un invasore alieno spietato, che mira a soggiogare il mondo intero. Gli ultimi baluardi dell’umanità sono super robot alti 15m. Quest’opera è ambientata in Italia.
U.W.S – United We Stand
Graphic novel edita da Marsilio Editori, suppone un colpo di stato avvenuto alle elezioni politiche italiane del 2013, con conseguente salita al potere di un gruppo extraparlamentare di estrema destra e l’inizio di una guerra civile all’interno del Bel Paese. Il tutto immerso in uno scenario da terza guerra mondiale, in cui Stati Uniti e Cina se le danno di santa ragione. Nonostante le premesse, U.W.S. è un fumetto di personaggi, in cui una manciata di protagonisti intrecciano le loro vicende a quelle della storia ucronica. Ora che ci penso, la maggior parte dei miei fumetti racconta di scenari post-apocalittici… Un’eredità degli anni ’80? Ai posteri l’ardua sentenza… Ma vi anticipo che uno dei miei obiettivi è quello di realizzare prima o poi una storia di amori adolescenziali in stile Masakazu Katsura. E lì non penso proprio si parlerà di apocalisse!;)
Sono contento di questa intervista. Mi sono commosso dopo aver letto per l’ennesima volta che DNA2 ha ispirato grandi uomini e grandi opere. Masakazu Katsura meriterebbe un premio a honorem.
Che questa intervista sia per te di buono auspicio, volendo, se vuoi, puoi aggiungere anche altre immagini da cornice a questa grande intervista. Complimenti e divertiti a condividerla con i tuoi cari.
Si, l’intervista piace molto anche a me e la trovo interessante, sopratutto nella parte dell’online. Se vuoi puoi pubblicare tutti i tuoi lavori anche nel magazine, creandoti una tua rubrica gestibile in semplicità. Sia che siano in jpg, pdf, doc, eccetera. In più abbiamo fatto in modo che la tua intervista sia più piacevole possibile, abbellendola. Volendo puoi aggiungere nell’intervista, come consiglio di Luca, anche una galleria, magari con altre immagini anche di altre cover o di cio che ti va di mostrare, benvenuto.