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I giornalisti in banca? Schedati e privilegiati

Per gli istituti non sono clienti qualunque. Farseli nemici è troppo pericoloso.
Forse è proprio il momento giusto per parlarne. I giornalisti in Italia rappresentano una fetta esigua della popolazione ma per le banche, solo per il fatto che essi vengano associati spesso (ed erroneamente) al potere, figurano come il tipico cliente da “lisciarsi” sempre e comunque. E se c’è da buttare dalla torre un piccolo imprenditore o un cronista di provincia la scelta è pressoché scontata.

Rischio reputazionale
Anche il motivo è altrettanto scontato: paura del rischio reputazionale. Paura che le malefatte del sistema del credito vengano fatte emergere e gridate ai quattro venti grazie alla penna di un giornalista che si schiera dalla parte del correntista. E se gli inglesi esortano i cronisti a essere dei veri «cani da guardia», dei watch dog, da scagliare alla bisogna contro i soprusi dei potenti, le banche italiane professano più l’addomesticamento del cagnolino da salotto. Ciò che ho appena detto verrà negato in tutti i modi da ogni singolo manager del credito (e probabilmente anche dai giornalisti abituati ai trattamenti “speciali”). Nessuno avrebbe il coraggio di ammettere il “corteggiamento” diffuso nei confronti di una stampa da rendere asservita, ma ho le prove del contrario.

Il codice di comportamento
Molti istituti tengono nel cassetto un codice di comportamento interno in cui è riportato come rapportarsi con la clientela. Clientela rigorosamente suddivisa per categorie. Il documento si chiama «Manuale per l’erogazione del credito», nel gergo bancario altrimenti detto «La Bibbia»: il lasciapassare per i prestiti al correntista. Vi sono situazioni in cui le restrizioni per le aziende e le persone sono molto marcate, altre in cui sono evidenti i “segnali di attenzione”; si parla addirittura di «declino del fido» per «azienda di scarso interesse bancario» salvo però «eccezioni suggerite da particolari ragioni di opportunità». Inoltre, devono essere declinati fidi ad «autorità locali (prefetti, sindaci, etc) per sollecitare interventi finanziari in favore di istituzioni locali o aziende in difficoltà» o prestiti «per pagare imposte o tasse».

Un punto dedicato alla stampa
Non si dica pertanto che le banche vengono sempre incontro alle necessità dei correntisti o dello Stato, che, al contrario, deve essere sempre pronto a ripianare i loro debiti. Musica assai diversa nel caso della stampa per la quale esiste addirittura un punto specifico titolato «Fidi la cui concessione è di competenza della direzione centrale». In questa sezione rientrano «amministratori, direttori, nonché membri degli organi di sorveglianza dell’istituto», quindi i pezzi grossi dell’azienda oppure di altre «banche italiane in generale» ed «esattorie», ma anche qualsiasi «giornalista ed amministratore di giornale, nonché aziende editrici di giornali, periodi, televisioni private».

Tutto passa per la direzione
Quindi, se un qualsiasi giornalista viene in banca anche per richiedere una semplice carta di credito non c’è manager di rete che possa autorizzarla. Deve passare tutto per la Direzione Centrale: per gli uffici che devono vagliare ogni minima richiesta soprattutto per “controllare”, e quindi imbonirsi, il giornalista. Definirlo trattamento di favore sembra addirittura riduttivo. Quanti ne cadono, anche inconsapevolmente, nella rete? Via: lettera43

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Written by Laura Rossi

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