Si sono succeduti vari tipi di scrittura che però mostrano tutti una caratteristica in comune: fermare la caducità della parola orale su un supporto materiale esterno così da renderla immortale…ora internet ci sommerge, ci intrappola in una rete di velocità e di tecnologia, ci abbaglia con i suoi effetti speciali, ma questo tipo di comunicazione non sembra riesca a darci quella sicurezza di cui noi abbiamo bisogno: lasciare il segno. Tutto è molto vacillante; facciamo un esempio: la chat. Noi stiamo chattando con qualcuno; all’improvviso il computer si blocca: siamo finiti, abbiamo interrotto bruscamente una conversazione lasciando l’altro titubante; non possediamo più alcun documento (es. testo scritto) che possa testimoniare per noi. Una lettera lascia il segno in una persona che la riceve: si può leggere e rileggere in continuazione; la chat no. E’ un terribile effetto psicologico: “essere e campo” potrebbe suggerire Heidegger (essere on line vuol dire esistere). Infatti sta succedendo proprio questo: l’esistenza di queste nuova forme di comunicazione è legata indissolubilmente alla tecnologia, costituendo un connubio molto pericoloso. Tutto va vissuto on, connessi all’inconsistente, al vuoto al nulla. “Ci sei, ci fai, sei connesso?”…cioè se affida il suo esserci a qualcosa di instabile come può essere la connessione virtuale. Negroponte, uno dei maggiori esperti mondiali di comunicazione digitale, descrive il futuro prossimo dei nostri mezzi di comunicazione in “Essere Digitali” (Sperling&Kupfer, Milano, 1995) “aumentando le interconnessioni tra gli individui, molti dei valori tradizionali propri dello Stato-Nazione lasceranno il passo a quelli di comunita’ elettroniche, grandi o piccole che siano. Socializzeremo in un vicinato digitale dove lo spazio fisico sara’ irrilevante e il tempo giochera’ un ruolo differente. Fra vent’anni guardando fuori dalla finestra, potrete vedere qualcosa distante da voi cinquemila miglia e sei fusi orari. Galimberti, in La Solitudine di Internet, afferma che non si tratta di enfatizzare o demonizzare le enormi potenzialita’ future dei mezzi di comunicazione, ma di capire come l’uomo profondamente si trasforma per effetto di questo potenziamento. Tra le idee arretrate, per non dire tra i luoghi comuni, che fanno da tacita guida al libro di Negroponte c’e’ quella che l’uomo puo’ usare la tecnica come qualcosa di neutrale rispetto alla sua natura, senza neppure il sospetto che la natura si modifica in base alle modalita’ con cui si declina tecnicamente. L’uomo infatti non e’ qualcosa che prescinde dal modo in cui manipola il mondo, e trascurare questa relazione significa non rendersi conto che a trasformarsi non saranno solo i mezzi di comunicazione, ma l’uomo stesso.
Il “mezzo” indipendentemente dallo scopo ci istituisce come spettatori e non come partecipi di un’esperienza o attori di un evento. Questa condizione, che vale per la televisione, vale, anche se non sembra, per l’Internet dove il “consumo in comune” del mezzo non equivale ad una “reale esperienza comune”. Cio’ che nell’internet si scambia, quando non e’ una somma spropositata di banalita’, e’ pur sempre una realta’ personale che non diventa mai una realta’ condivisa. Lo scambio ha un andamento solipsistico dove un numero infinito di eremiti di massa comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo. E par di vederli questi operatori, separati l’uno dall’altro, chiusi nel loro guscio come i monaci di un tempo sui picchi delle alture, non per rinunciare al mondo, ma per non perdere neppure un frammento del mondo “in immagine”. E cosi’ sotto la falsa rappresentazione di un computer personale (personal computer), cio’ che si produce e’ sempre di piu’ l’uomo massa per generare il quale non occorrono maree oceaniche, ma oceaniche solitudini che, sotto l’apparente difesa del diritto all’individualita’, producono come lavoratori a domicilio beni di massa e consumano come fruitori a domicilio gli stessi beni di massa che altre solitudini hanno prodotto. A questo punto le considerazioni di Gustave Le Bon sulle situazioni di massa che alterano l’individuo sono ampiamente superate perche’, grazie ai personal computer, oggi si procede a domicilio a questa degradazione dell’individualità e al livellamento della razionalita’. Non piu’ il viandante che esplora il mondo, ma il mondo che si offre al sedentario che e’ al mondo proprio perche’ non lo percorre, e al limite neppure lo abita. La rivoluzione ha del copernicano, perche’ il mondo non e’ piu’ cio’ che sta, ma a stare (seduto) e’ l’uomo, e il mondo gli gira attorno capovolgendo i termini con cui, dal giorno in cui e’ comparso sulla terra , l’uomo ha fatto esperienza. Le conseguenze, anche se sfuggono all’entusiasmo di Negroponte, non sono da poco. Se il mondo viene a noi, noi non “siamo-nel-mondo” come vuole la famosa espressione di Heidegger, ma semplici consumatori del mondo. Se poi viene a noi solo in forma di immagine, cio’ che consumiamo e’ solo il fantasma. Se questo fantasma lo possiamo evocare in qualsiasi momento, siamo onnipotenti come Dio. Ma poi questa onnipotenza si riduce perche’, se possiamo vedere il mondo senza potergli parlare, siamo dei voyeurs condannati all’afasia. Se un fatto che accade in un luogo determinato puo’ essere trasmesso in qualsiasi luogo della terra quel fatto perde la sua “individuazione” che e’ sempre stato il tratto caratteristico dei fatti. Se per vederlo bisogna pagarlo, allora quel fatto, insieme a tutta la serie dei fatti, cioe’ il mondo, diventa merce. Se la sua importanza dipende dalla sua diffusione attraverso i media, allora l’essere dovra’ misurarsi sull’apparire.
Guenther Anders, in Die Antiquiertheit des Menschen (1956), sospettava che il mondo puo’ diventare illegibile per overdose di informazioni e l’uomo perdere il bene prezioso che e’ la capacita’ di fare esperienza. Non siamo onnipotenti come i mezzi di cui disponiamo, e non saranno certo mezzi onnipotenti capaci di mettere in comunicazione milioni di solitudini a fare di tutti i solitari, privati proprio dai mezzi di comunicazione della possibilita’ di fare un’esperienza condivisa, gli abitanti di un mondo comune. Source: scritturaenuovaorality