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Scuola pitagorica

La scuola pitagorica, appartenente al periodo presocratico, fu fondata da Pitagora a Crotone intorno al 530 a.C., sull’esempio delle comunità orfiche e delle sette religiose d’Egitto e di Babilonia, terre che, secondo la tradizione, egli avrebbe conosciuto in occasione dei suoi precedenti viaggi di studio. La scuola di Crotone ereditò dal suo fondatore la dimensione misterica ma anche l’interesse per la matematica, l’astronomia, la musica e la filosofia.

Setta mistica, scientifica, aristocratica:
«Dinanzi agli estranei, ai profani, per così dire, quegli uomini parlavano tra loro, se mai dovesse capitare, enigmaticamente per simboli […] quali ad esempio: “Non attizzare il fuoco con il coltello” […] che somigliano – nella loro pura espressione letterale – a delle regole da vecchietta, ma che, una volta spiegate, forniscono una straordinaria e venerabile utilità a coloro che le comprendono. Ma il precetto più grande di tutti in rapporto al coraggio è quello di proporre come scopo più importante di preservare e liberare l’intelletto […]. “L’intelletto” infatti – a loro parere – “vede tutto e intende tutto, e tutto il resto è sordo e cieco”.» (Giamblico, Vita di Pitagora, 227-228[1])

L’originalità della scuola consisteva nel presentarsi come setta mistica-religiosa, comunità scientifica ed insieme partito politico aristocratico che sotto questa veste governò direttamente in alcune città dell’Italia meridionale. La coincidenza dei tre diversi aspetti della scuola pitagorica si spiega con il fatto che l’aspetto mistico nasceva dalla convinzione che la scienza libera dall’errore, che era considerato una colpa, e quindi, attraverso il sapere, ci si liberava dal peccato dell’ignoranza, ci si purificava e ci avvicinava a Dio, l’unico che possiede tutta intera la verità: infatti l’uomo è “filosofo” (da φιλεῖν (fileîn), amare e σοφία (sofìa), sapienza), può solo amare il sapere, desiderarlo ma mai possederlo del tutto.[2] Infine la partecipazione alla scuola, riservata a spiriti eletti, implicava che gli iniziati che la frequentavano avessero disponibilità di tempo e denaro per trascurare ogni attività remunerativa e dedicarsi interamente a complessi studi: da qui il carattere aristocratico del potere politico che i pitagorici ebbero fino a quando non furono sostituiti dai regimi democratici. Si dice che Pitagora avesse interpellato a Delfi l’Oracolo del Dio Apollo che gli aveva predestinato la città di Crotone come sede della sua scuola che quindi nasceva per volontà del dio. Crotone si presentava adatta poiché era già una città dove si era sviluppata una cultura scientifica-medica e dove Pitagora grazie al suo sapere, riuscì a guadagnarsi i favori del popolo che governò per molto tempo. La scuola, che poteva essere frequentata anche dalle donne[3], offriva due tipi di lezione: una pubblica e una privata. Durante quella pubblica, seguita dalla gente comune, il maestro spiegava nel modo più semplice possibile, così che fosse comprensibile a tutti, la base della sua filosofia basata sui numeri. Quella privata era invece di più alto livello e veniva seguita prevalentemente da eletti iniziati agli studi matematici. Secondo la tradizione risalente a Giamblico e Porfirio nella scuola avvenne una divisione tra i discepoli, in due gruppi:
I matematici (μαθηματικοί – mathematikoi), ovvero la cerchia più stretta dei seguaci, i quali vivevano all’interno della scuola, si erano spogliati di ogni bene materiale e non mangiavano carne ed erano obbligati al celibato. I “matematici” erano gli unici ammessi direttamente alle lezioni di Pitagora con cui potevano interloquire. A loro era imposto l’obbligo del segreto, in modo che gli insegnamenti impartiti all’interno della scuola non diventassero di pubblico dominio;
Gli acusmatici (ἀκουσματικοί – akusmatikoi), ovvero la cerchia più esterna dei seguaci, ai quali non era richiesto di vivere in comune, o di privarsi delle proprietà e di essere vegetariani, avevano l’obbligo di seguire in silenzio le lezioni del maestro. Gli acusmatici inoltre non potevano vedere il maestro, ma soltanto udirne la parola, in quanto teneva le sue lezioni nascosto da una tenda.

Il carattere religioso dogmatico dell’insegnamento è confermato dal fatto che la parola del maestro non poteva essere messa in discussione: a chi obiettava si rispondeva: «αὐτὸς ἔφη» (traslitterato: «autòs èphē») (l’«ipse dixit» latino), «l’ha detto proprio lui» e quindi era una verità indiscutibile. Nelle sue lezioni, che si tenevano nella “Casa delle Muse”, un imponente tempio all’interno delle mura cittadine, in marmo bianco, circondato da giardini e portici, Pitagora ribadiva spesso il concetto che la medicina fosse salute e armonia, invece la malattia disarmonia. Quindi l’obiettivo principale della medicina pitagorica era di ristabilire l’armonia tra il proprio corpo e l’universo. Poiché i pitagorici erano sostenitori delle teorie orfiche dell’immortalità dell’anima e della metempsicosi, ritenevano che per mantenerla pura e incontaminata occorresse svolgere delle pratiche ascetiche, sia spirituali che fisiche. Tra queste, solitarie passeggiate mattutine e serali, cura del corpo ed esercizi quali corsa, lotta, ginnastica e diete costituite da cibi semplici e senza l’assunzione di vino. È celeberrima l’idiosincrasia di Pitagora e della sua Scuola per le fave: non solo si guardavano bene dal mangiarne, ma evitavano accuratamente ogni tipo di contatto con questa pianta. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo attraverso un campo di fave.[4]

Una comunità tribalistica
Secondo Karl Popper[5] la setta pitagorica aveva caratteristiche tribalistiche che si evidenziavano nella prescrizione e osservanza di dogmi e tabù tipici della mentalità di questi gruppi esclusivisti. A questo proposito John Burnet[6], nella sua opera Early Greek Philosophy, riprendendolo dal Diels[7] indica un elenco di quindici tabù[8] «di tipo assolutamente primitivo» imposti da Pitagora che per questo diviene un personaggio a metà tra il filosofo e lo sciamano[9]:
Astieniti dalle fave
Non raccogliere ciò che è caduto
Non toccare un gallo bianco
Non spezzare il pane
Non scavalcare le travi
Non attizzare il fuoco con il ferro
Non addentare una pagnotta intera
Non strappare le ghirlande
Non sederti su di un boccale
Non mangiare il cuore
Non camminare sulle strade maestre
Non permettere alle rondini di dividersi il tuo tetto
Quando togli dal fuoco la pignatta non lasciare la sua traccia nelle ceneri, ma rimescolale
Non guardare in uno specchio accanto ad un lume
Quando ti sfili dalle coperte, arrotolale e spiana l’impronta del corpo.
(«Si noti come le regole 4 e 7.prescrivono che il pane venga tagliato e non spezzato o mangiato intero»)[10]

L’aritmogeometria
«Sembra adunque che questi filosofi nel considerare il numero come principio delle cose esistenti ne facciano una causa materiale come proprietà e come modo. Come elementi del numero fissano il pari e il dispari, il primo infinito, l’altro finito. L’uno partecipa di ambedue questi caratteri (essendo insieme pari e dispari). Ogni numero proviene dall’uno e l’intero universo, come già ho detto, è numeri. Altri fra di loro dicono che i principi sono dieci […]» (Aristotele, Metafisica, I, 5, 986a[11]).

Tra le pratiche per la purificazione del corpo e dell’anima i pitagorici privilegiavano la musica che li portò a scoprire il rapporto numerico alla base dell’altezza dei suoni (ossia alla frequenza dell’onda acustica) che, secondo la leggenda, Pitagora trovò riempiendo con dell’acqua un’anfora che percossa emanava una nota, poi togliendo una parte ben definita dell’acqua, otteneva la stessa nota ma maggiore di un’ottava. È probabile che proprio da queste esperienze musicali nacque nei pitagorici l’interesse per l’aritmetica concepita come una teoria dei numeri interi che essi ritenevano non un’entità astratta bensì concreta; i numeri venivano visti come grandezze spaziali, aventi una stessa estensione e forma ed erano infatti rappresentati geometricamente e spazialmente (l’uno era il punto, il due la linea, il tre la superficie, il quattro il solido). Pitagora formulò inoltre l’importante teoria della tetraktys.[12] Etimologicamente il termine significherebbe “numero triangolare”. Per i Pitagorici la tetraktys consisteva in una disposizione geometrica che esprimeva un numero o un numero espresso da una disposizione geometrica. Essa era rappresentata come un triangolo alla cui base erano quattro punti che decrescevano fino alla punta; la somma di tutti i punti era dieci, il numero perfetto composto dalla somma dei primi 4 numeri (1+2+3+4=10), che combinati tra loro definivano le quattro specie di enti geometrici: il punto, la linea, la superficie, il solido. La tetraktys aveva un carattere sacro e i pitagorici giuravano su di essa. Era inoltre il modello teorico della loro visione dell’universo, cioè un mondo non dominato dal caos delle forze oscure, ma da numeri, armonia, rapporti numerici.[13] Questa matematica pitagorica che è stata definita un'”aritmogeometria” agevolò la concezione del numero come archè, principio primo di tutte le cose. Fino ad allora i filosofi naturalisti avevano identificato la sostanza attribuendole delle qualità: queste però, dipendendo dalla sensibilità, erano mutevoli e mettevano in discussione la caratteristica essenziale della sostanza: la sua immutabilità. I pitagorici ritenevano di superare questa difficoltà evidenziando che se è vero che i principi originari mutano qualitativamente essi però conservano la quantità che è misurabile e quindi traducibile in numeri, vero ultimo fondamento della realtà. Affermava Filolao: «Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo nulla sarebbe possibile pensare né conoscere.»[14]

Contributi alla matematica
La chiarificazione della natura dei numeri si pose come domanda imprescindibile a Pitagora e ai suoi seguaci. Essi si interrogarono sulle proprietà dei numeri pari e dispari, dei numeri triangolari e dei numeri perfetti e lasciarono un’eredità duratura a coloro che si sarebbero occupati di matematica. Secondo il mito, ai pitagorici si devono le seguenti scoperte:
che la somma degli angoli interni di un triangolo è pari a due angoli retti. Più in generale, nel caso di un poligono di n lati la somma degli angoli interni è uguale a 2n-4 angoli retti;
che in un triangolo rettangolo, il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti, ossia l’enunciato (ma non la dimostrazione) del teorema noto come teorema di Pitagora[15][16];
la soluzione geometrica di alcune equazioni algebriche;
la scoperta dei numeri irrazionali (tenuta nascosta poiché contraddiceva la teoria pitagorica secondo cui tutte le quantità possibili sono esprimibili come frazioni [17] );
la costruzione dei solidi regolari.

Secondo i pitagorici esiste una coppia di principi:
L’Uno, o principio limitante
La Diade, o principio di illimitazione

Tutti i numeri risultano da questi due principi: dal principio limitante si hanno i numeri dispari, da quello illimitato i numeri pari. Una rappresentazione grafica di questi principi è la seguente. I numeri pari, così disposti, fanno pensare ad un'”apertura”: lasciando passare qualcosa che li attraversi danno l’idea dell’illimitatezza, e dunque erano considerati imperfetti, poiché solo ciò che è limitato è compiuto, non manca di nulla e quindi è perfetto. Poiché i numeri si dividono in pari e impari, e poiché i numeri rappresentano il mondo, l’opposizione tra i numeri si riflette in tutte le cose. La divisione tra i numeri porta quindi ad una visione dualistica del mondo, e la suddivisione della realtà in categorie antitetiche.

Sono state individuate 10 coppie di contrari, conosciuti come “opposti pitagorici” che Aristotele individua come “principi” [18]:
Limitato-Illimitato
Dispari-Pari
Unità-Molteplicità
Destra-Sinistra
Maschio-Femmina
Quiete-Movimento
Retta-Curva
Luce-Tenebre
Bene-Male
Quadrato-Rettangolo

Non bisogna invertire l’ordine dentro una coppia di contrari (esempio Bene-Male –> Male-Bene) poiché ognuno è legato al contrario corrispondente nelle altre coppie.

Numeri importanti
1, o Monade. Indica l’Uno, il principio primo. Considerato un numero né pari né dispari, ma pari-mpari. Geometricamente rappresenta il punto.
2, o Diade. Femminile, indefinito e illimitato. Rappresenta l’opinione (sempre duplice) e, geometricamente, la linea.
3, o Triade. Maschile, definito e limitato. Geometricamente rappresenta il piano.
4, o Tetrade. Rappresenta la giustizia, in quanto divisibile equamente da entrambe le parti. Geometricamente rappresenta una figura solida.
5, o Pentade. Rappresenta vita e potere. La stella iscritta nel pentagono era il simbolo dei pitagorici.
10, o Decade. Numero perfetto. Infatti secondo la loro concezione astronomica 10 erano i pianeti e questo numero veniva rappresentato con il tetraktys: il triangolo equilatero di lato 4 sul quale veniva fatto il giuramento di adesione alla scuola.

Questo simbolo del triangolo ebbe un influsso importante persino nell’iconografia paleocristiana dove la stessa figura verrà rappresentata con un occhio al centro. Inoltre il 10 “contiene” l’intero universo poiché è dato dalla somma di 1+2+3+4 in cui l’1 rappresenta il punto geometrico, 2 sono i punti necessari per individuare la linea, 3 sono i punti necessari per individuare un piano e 4 per individuare un solido.

Numeri figurati e geometria
I Pitagorici basavano anche la geometria sulla teoria dei numeri interi. Le figure geometriche erano infatti da essi concepite come formate da un insieme discreto di punti, indivisibili ma dotati di una certa grandezza. Esistevano quindi strette relazioni tra i numeri e le forme realizzabili con il corrispondente numero di punti. Un residuo delle concezioni pitagoriche è ancora nella nostra terminologia quando parliamo di numeri quadrati: il 25, ad esempio era considerato quadrato perché disponendo 25 punti in 5 file di 5 si poteva realizzare la forma di un quadrato. I pitagorici non si limitavano però ai numeri quadrati. Consideravano anche i numeri triangolari (ottenuti sommando interi consecutivi a partire da 1; erano cioè triangolari i numeri 1, 3, 6, 10, 15, …), i numeri gnomoni, ossia i numeri dispari (con i quali si poteva formare una figura costituita da due bracci eguali ortogonali collegati da un punto), numeri poligonali e così via. Tra i vari numeri e le figure corrispondenti, sussistevano relazioni allo stesso tempo aritmetiche e geometriche: ad esempio sommando due numeri triangolari consecutivi si ottiene un quadrato; sottraendo da un quadrato il quadrato immediatamente minore si ottiene uno gnomone; sommando un certo numero di gnomoni consecutivi a partire da 1 si ottiene un quadrato. Tutta la matematica pitagorica entrò in crisi in seguito alla scoperta di grandezze incommensurabili. Tale scoperta, avvenuta all’interno della scuola e attribuita in genere a Ippaso di Metaponto, impediva infatti di considerare tutte le grandezze come multiple della stessa grandezza punto.

La sfera
La scuola aveva una profonda venerazione verso la sfera. Questo solido era la rappresentazione materiale dell’Armonia. Ciò era dovuto all’osservazione della caratteristica della sfera: tutti i punti sono equidistanti dal centro, che rappresenta il fulcro, e con la stessa “forza” tengono insieme la sfera.

Anatomia
I pitagorici rivoluzionarono la concezione dell’anatomia umana. Introdussero con Alcmeone di Crotone la teoria encefalocentrica che indicava il cervello come organo centrale delle sensazioni. Furono infatti i primi a dare importanza a questo organo poiché prima, già con gli egizi, era diffusa l’idea che attribuiva tutte le funzioni vitali al cuore. Inoltre affermarono che tutte le parti del corpo fossero unite da una sovrannaturale armonia, la quale componeva l’anima.

Astronomia, armonia e misticismo
L’avanzata astronomia pitagorica è stata attribuita a Filolao di Crotone e Iceta di Siracusa i quali pensavano che al centro dell’universo vi fosse un immenso fuoco, chiamato Hestia: chiara la similitudine con il sole che i pitagorici si raffiguravano come una enorme lente che rifletteva il fuoco e dava calore a tutti gli altri pianeti che giravano attorno ad esso. Il primo dei pianeti rotanti è l’Anti-Terra, poi la Terra, che non è immobile al centro dell’universo ma è un semplice pianeta, poi il Sole, la Luna, cinque pianeti e infine il cielo delle stelle fisse. L’idea dell’esistenza dell’Anti-Terra probabilmente nasceva con la necessità di spiegare le eclissi ed anche, come sostiene Aristotele[19], per far arrivare a dieci, il numero sacro, segno della tetrakis, dell’armonia universale, i pianeti ruotanti intorno al fuoco centrale. Keplero per il suo eliocentrismo si rifece, e ne diede testimonianza, alla teoria cosmologica pitagorica che per primo concepì l’universo come un cosmo[20] un insieme razionalmente ordinato che rispondeva anche ad esigenze mistiche religiose. I pianeti compiono movimenti armonici secondo precisi rapporti matematici e dunque generano un suono sublime e raffinato. L’uomo sente queste armonie celestiali ma non riesce a percepirle chiaramente, in quanto immerso in esse fin dalla nascita. Secondo Alcmeone anche l’anima umana è immortale, poiché della stessa natura del Sole, della Luna e degli astri e, come questi si genera dall’armonia musicale di quegli elementi opposti di cui parlerà Simmia, il discepolo di Filolao, nel Fedone platonico. Il divino è l’anima del mondo e l’etica nasce dall’armonia che è nella giustizia rappresentata da un quadrato che risulta dal prodotto dell’uguale con l’uguale. L’anima immortale dell’uomo, attraverso successive reincarnazioni, si ricongiungerà all’anima del mondo, alla divinità ma per questo fine il pitagorico dovrà esercitarsi alla contemplazione misterica, derivata dall’orfismo, basata sulla sublime armonia del numero. La vita contemplativa (bìos theoretikòs) per la prima volta assumeva nel mondo greco un’importanza primaria.

La crisi della scuola pitagorica
La scoperta, tenuta segreta, delle grandezze incommensurabili, come ad esempio l’incommensurabilità della diagonale con il lato del quadrato, causò la crisi di tutte quelle credenze basate sull’aritmogeometria, sulla convinzione che la geometria trattasse di grandezze discontinue come l’aritmetica. La leggenda narra che Ippaso di Metaponto avesse rivelato questa segreta difficoltà, confermata dal fatto che l’aritmogeometria non riusciva a risolvere i paradossi del continuo e dell’infinito che per esempio erano alla base delle argomentazioni di Zenone di Elea. L’aritmetica e la geometria si divisero e divennero autonome. La crisi della scuola si originava anche da motivi politici: i pitagorici sostenitori dei regimi aristocratici che governavano in numerose città della Magna Grecia furono travolti dalla rivoluzione democratica del 450 a.C. e furono costretti a cercare rifugio in Grecia dove fondarono la comunità pitagorica di Fleio o si stabilirono a Taranto dove con Archita rimasero fino alla metà del IV secolo a.C. A Siracusa operarono Ecfanto e Iceta, a Tebe Filolao, Simmia e Cebete, a Locri Timeo.[21]

Note
1^ In Summa pitagorica, traduzione di Francesco Romano, Bompiani 2006, p. 251.
2^ Anche sulla prima definizione di se stesso come filosofo (come è stato riferito da Cicerone e Diogene Laerzio) attribuita a Pitagora, cioè come “colui che ama il sapere”, sono stati recentemente avanzati fondati dubbi da Riedweg Christoph, in Pitagora. Vita, dottrina e influenza, Editore: Vita e Pensiero 2007
3^ La tradizione vuole che le donne pitagoriche più famose fossero 17 (in Greek women: Mathematicians and Philosophers. Fonte primaria: Giamblico) Fra queste si ricorda Timica, moglie di Millia di Crotone. La comunità pitagorica ha in parte innovato le tradizioni del mondo classico greco, affermando che la donna ha il riconoscimento di un proprio mondo interiore. Pitagora, infatti, rendeva edotte le sue allieve sulle questioni filosofiche da lui trattate poiché le riteneva dotate di ottima intuizione e di spirito contemplativo. Non aderì dunque allo stereotipo della donna incolta e subalterna, relegata alle occupazioni domestiche. Pitagora stesso, narra Aristosseno, apprese gran parte delle dottrine morali ed i segreti dell’ascesi e della theurgia da Temistoclea, sacerdotessa di Delfi. Clemente Alessandrino nelle sue Stromata attesta l’eccellenza delle donne pitagoriche.
4^ Esistono due interpretazioni riguardo al divieto di mangiare fave: Quella di Gerald Hart (In Descriptions of blood and blood disorders before the advent of laboratory studies (British Journal of Haematology, 2001, 115, 719-728), che ha notato come il favismo potrebbe essere stata una malattia diffusa nella zona del crotonese. La seconda fa riferimento a credenze antiche, messe in luce da Claude Lévi-Strauss, secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell’impurità, dalle quali il filosofo si deve tenere lontano.
5^ K.Popper, La società aperta e i suoi nemici, Vol. 1, Armando Editore, 2004, p.451
6^ citato anche da Bertrand Russell in Storia della filosofia occidentale’’, ed. Tea, Milano, 1983, p. 51
7^ Vorsokratiker, vol.I, pp.97 e sgg.
8^ Ne riferisce anche Aristosseno di Taranto filosofo peripatetico
9^ U.Nicola, Antologia illustrata di filosofia. Dalle origini all’era moderna, Editrice Demetra (Giunti editore), 2003 alla voce “Setta pitagorica”
10^ U. Nicola, ‘’Op. cit. p.23
11^ Citato in Pier Michele Giordano, I presocratici, Edizioni ARS G. L., Vercelli 1996, pp. 103-104.
12^ Aristotele, Metafisica XIII.
13^ Aristotele, Metafisica, 985b-986a.
14^ Diels-Kranz, 44 B 11; (EN) : frammento 4.
15^ Diogene Laerzio ci informa che Pitagora sacrificò un’ecatombe quando scoprì il celebre teorema geometrico che porta il suo nome. Sembra tuttavia un’informazione non corretta, in quanto Pitagora era vegetariano e amava gli animali. Molti secoli dopo, l’epigrammista Filippo Pananti (q:Filippo Pananti) trasse dal lontano episodio la seguente morale:
Allorquando Pitagora trovò
Il suo gran teorema,
Cento bovi immolò.
Dopo quel giorno trema
De’ buoi la razza, se si fa
Strada al giorno una nuova verità.
16^ L’enunciato del teorema era tuttavia conosciuto da babilonesi e indiani prima di Pitagora, e si trova descritto anche nel Sulvasutra
17^ Guido Marè, H3P Abduction, Interactiva , 2002
18^ Christoph Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, 2007 p.149
19^ Commento alla Metafisica di Aristotele e testo integrale di Aristotele di Tommaso d’Aquino, (trad. di Lorenzo Perotto), Edizioni Studio Domenicano, 2004 p.797
20^ La parola kòsmos nella lingua greca nasce in ambito militare per designare l’esercito schierato ordinatamente per la battaglia (in Sesto Empirico, Adversus Mathematicos, IX 26)
21^ Di questi scrive Platone ma alcuni storici della filosofia ne negano l’esistenza.

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Written by Vicky Ledia

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