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Madamato

Il termine madamato designava, inizialmente in Eritrea e successivamente nelle altre colonie italiane, una relazione temporanea more uxorio tra un cittadino italiano (soldati prevalentemente, ma non solo) ed una donna nativa delle terre colonizzate, chiamata in questo caso madama.

Storia
Sin dai primi anni di presenza italiana in Africa Orientale il fenomeno da più parti venne giustificato come rispondente alla tradizione locale del dämòz o “nozze per mercede”, una forma di contratto matrimoniale che vincola i coniugi ad una reciprocità di obblighi, che includono per l’uomo quello di provvedere alla prole anche dopo la risoluzione del contratto[1]. Molto spesso, però, gli italiani intendevano il madamato come libero accesso a prestazioni domestiche e sessuali, senza curarsi troppo dei doveri che l’unione prevedeva. Questa convivenza, già all’epoca ritenuta da Ferdinando Martini, primo governatore dell’Eritrea, un inganno ed un sopruso nei confronti delle donne locali, fu un’abitudine che si diffuse enormemente sia per la lontananza delle mogli italiane e delle famiglie, sia per la preferenza accordatale dai Comandi Militari rispetto alla occasionale frequentazione di prostitute locali, veicolo di malattie sessualmente trasmissibili. Il fenomeno portò alla nascita ed al contestuale abbandono di un numero altissimo di figli meticci non riconosciuti dal padre, la cui unica sorte era quella di essere accuditi presso i brefotrofi religiosi. Non mancarono, comunque, convivenze improntate a maggior senso di responsabilità da parte degli italiani e non pochi furono i casi di figli regolarmente riconosciuti, anche perché i militari che ricorrevano al madamato erano in maggioranza celibi. Dopo la invasione della Libia, il fenomeno si estese anche in quelle zone, tanto che, il 17 maggio 1932 Rodolfo Graziani emanò una circolare da Bengasi con la quale rimpatriava quattro ufficiali che ne avevano fatto ricorso. Nello stesso documento il generale asseriva che “questa del mabruchismo è un’altra delle piaghe che ha travagliato la colonia, di cui resta qualche traccia, o qualche nostalgia, che io voglio assolutamente estirpare” perché “anche a prescindere da ogni considerazione politica (per la speculazione che il mondo indigeno ama fare su queste nostre relazioni con le sue donne) il solo lato disciplinare e morale del fenomeno è sufficiente per condannarlo e deprecarlo”[3]. Con l’introduzione delle leggi razziali, il madamato venne proibito e penalmente perseguito, anche se con scarsi risultati (r.d.l. 19 aprile 1937 n. 880, che lo puniva con la reclusione da 1 a 5 anni, modificato con l. 29 giugno 1938 n. 1004), nonostante lo sforzo dello Stato di diffondere nei territori delle Colonie case di tolleranza, dapprima con prostitute italiane, in seguito (a causa dell’immagine negativa delle donne italiane che si mostrava ai sudditi delle colonie) con ragazze marsigliesi. Il regime fascista lo giudicava rovinoso per l’integrità della razza e per il prestigio dell’Italia imperiale, come si evince dall’ultimatum “Aut Imperium Aut Voluptas!” lanciato nel 1938 dal governatore dell’Harar, Guglielmo Nasi, in una sua ormai famosa circolare.

Casi storici
Indro Montanelli, durante un’intervista del 1982, ricordò come, inviato ad Asmara, avesse contratto un rapporto di madamato con una bambina eritrea di 12 anni, che lo seguì durante i suoi spostamenti nei territori colonizzati.

Note
1^ Sinonimo di madamato, deriva dal termine arabo “mabrukah”, che indica la donna.

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Written by Vicky Ledia

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