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Attentati progettati in Sardegna

Al Qaeda, i dettagli del blitz anti terrorismo.
Prende una fisionomia più definita la maxi operazione anti terrorismo della Procura distrettuale di Cagliari (coordinata dal Servizio centrale antiterrorismo della Direzione centrale della polizia di prevenzione) contro una cellula con base in Sardegna. Sono nove le persone arrestate tra giovedì e venerdì, a fronte di 18 ordinanze di custodia cautelare firmate (non 20 come appreso inizialmente). Le accuse, a vario titolo, sono di strage, associazione a delinquere con finalità di terrorismo e di immigrazione clandestina con soggiorno e permanenza sul territorio nazionale di cittadini pakistani e afghani.
In carcere è finito Sultan Wali Khan, 39 anni, considerato il capo della comunità pakistana a Olbia, promotore della moschea, titolare di un bazar in città. È considerato dagli investigatori uno dei vertici della cellula terroristica ramificata in Sardegna. Avrebbe recuperato i fondi per i gruppi terroristici, grazie a collette tra le comunità islamiche del nord dell’Isola, ufficialmente destinate a scopi umanitari. Gestiva un bazar a Olbia e alcuni negozi a Roma, ed era considerato un leader spirituale per molti connazionali. Un imprenditore insospettabile che aveva addirittura lavorato nel cantiere del G8.
Insieme all’Imam di Bergamo, Hafiz Muahammad Zulkifal, 43 anni, anche lui arrestato, avrebbe raccolto ingenti somme di denaro, grazie a collette avviate tra le varie comunità pakistane per presunti scopi benefici, da inviare poi ai gruppi terroristici. Proprio a Olbia, secondo quanto emerso dall’ordinanza firmata dal Gip Giorgio Altieri, sarebbe stato organizzato l’attentato al mercato di Peshawar costato la vita a più di cento persone nell’ottobre del 2009. A Sultan Wali e ad altri quattro dei dieci arrestati viene infatti contestato il delitto di strage.
Gli altri finiti in manette sono Imitias Khan, 40 anni, Niaz Mir, di 41, e Siddique Muhammad, di 37, tutti pakistani rintracciati a Olbia; Yahya Khan Ridi, afghano, 37enne, arrestato a Foggia; Haq Zaher Ui, 52 anni, catturato a Sora (Frosinone); Zuabair Shah, di 37, e Sher Ghani, di 57, pakistani bloccati a Civitanova Marche (Macerata). Gli altri nove sono attualmente ricercati, tre sarebbero ancora in Italia i restanti, invece, avrebbero già lasciato il territorio nazionale.
Una cellula ben integrata nel sistema terroristico, secondo gli investigatori, con al centro, dunque, un insospettabile commerciante. A Olbia non si è parlato d’altro e in città aleggia lo sgomento. “Sono sconvolta – dice all’ANSA Simona Deriu, proprietaria di un negozio di calzature al numero 5 di via Acquedotto, accanto al bazar – ho assistito di persona all’arresto: mai mi sarei aspettata una cosa del genere. Abbiamo sempre avuto rapporti di buon vicinato – spiega la commerciante – Soprattutto il ragazzo arrestato – precisa – era sempre molto cordiale ed educato. Un grande lavoratore”. Il legale che rappresenta i tre pakistani arrestati a Olbia, Luca Tamponi, è sicuro che tutta la vicenda si sgonfierà. “I miei clienti si trovano ad esser accusati di fatti molto gravi, ma sono fiduciosi e certi che la vicenda si chiarirà e verrà ridimensionata. Si tratta di persone stabilmente inserite nella società olbiese, dove lavorano e vivono con le proprie famiglie e dove sono nati i loro figli. Non hanno mai avuto problemi con la giustizia”. Sconvolta la famiglia di Sultan Wali Khan. “Mio fratello si trova qui a Olbia da 22 anni e mai è successa una cosa del genere – dice il fratello Fazal I Raman – La moglie, che è incinta e aspetta il sesto figlio, si trova in Pakistan e piange in continuazione, non vuole credere a quanto accaduto”.
Tra le operazioni che la cellula aveva pianificato, ci sono l’arrivo in Italia di un kamikaze e i collegamenti diretti con Osama Bin Laden, ma anche i preparativi di sanguinosi attentati compiuti in Pakistan. Ci sono poi i sospetti di un’azione contro il Papa, omicidi di connazionali in Italia, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, finanziamento di più organizzazioni terroristiche ed esportazione di valuta. Tutto confermato da un fiume di intercettazioni raccolte nelle 86 pagine di ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal Gip del Tribunale di Cagliari, Giorgio Altieri, a conclusione dell’inchiesta della Polizia, dell’antiterrorismo della Dda sarda che ha portato all’arresto di nove persone, sospettate di affiliazione con Al Qaida. Altre otto sono ricercate, due delle quali in Italia.
Il 15 marzo 2010 viene intercettato l’arrivo all’aeroporto di Roma di alcuni degli indagati “con il kamikaze”. Pochi giorni dopo, uno di questi ripete al telefono per due volte la frase: “Ci stiamo avvicinando alla morte”. E ancora, poco dopo: “Non è un kamikaze qualunque! Lui è un ‘fidai’ dai piedi al collo”, chiarendo la vocazione al martirio del combattente. In un’altro passaggio, poi: “Stai attento perchè stanno per scoppiare le bombe…non vorrei che morissi sporco!”. Pochi mesi dopo, il 19 settembre 2010, le microspie intercettano una conversazione dell’imam di Bergamo, Zulkfal, che gli inquirenti sospettano possa celare i preparativi di un attentato da organizzare in Italia, forse in Vaticano. “Quella missione che noi ti abbiamo affidato, è importante eliminare il loro plar (capo) Cosa hai fatto? Ci sono tanti soldi sul loro papa (o baba), noi stiamo facendo una grande jihad contro di lui”.
Una parte dell’ordinanza riguarda l’attentato esplosivo nel mercato di Peshawar del 28 ottobre 2009 che causò la morte di oltre cento persone e che gli inquirenti ritengono essere stato preparato e finanziato in Sardegna, in particolare a Olbia. “Qui la legge è diversa da quella del Pakistan!… – emerge da una conversazione tra gli indagati – Qui non c’è l’impiccagione! Soltanto tre anni di carcere e basta! E poi se uccidi qualcuno fai soltanto tre anni di carcere”. Gli inquirenti della Digos di Sassari, coordinati dal sostituto procuratore di Cagliari Danilo Tronci, hanno trovato elementi di collegamento tra gli indagati e Osama Bin Laden, il capo di Al Qaida, ucciso il 2 maggio 2011 da un blitz delle forze speciali americane. Il 6 gennaio 2006, in una telefonata, uno degli arrestati, Imitias Khan, residente a Olbia, chiede notizia di Bin Laden alla sorella, la quale gli risponde: “anche lui sta bene, sta dormendo”. La risposta – come segnala il Gip nell’ordinanza – suggerisce che il noto capo terrorista fosse ospitato nell’abitazione dei familiari di Imitias Khan.
Le pagine dell’ordinanza, infine, svelano il delitto di una coppia, compiuto in Italia, accusata di aver violato la legge coranica. Sono stati sgozzati e i cadaveri mai trovati. Terrificanti le intercettazioni: “Facendo qualche foto – dicono alcuni degli indagati, coinvolti nel duplice omicidio – potevate posizionare la gola del cadavere in questa posizione!… Dovevate fotografare in modo da vedere anche il petto!… Questa è cosa grande!… La gente dirà ‘gli hanno tagliato la gola’”. L’ordine di custodia cautelare in carcere è supportato, secondo il Gip Alteri, dal “concreto pericolo di commissione di delitti con l’uso di armi, esplosivi o altri mezzi di violenza della stessa specie di quelli per cui si procedere”. Un rischio “di intensità tale da richiedere una misura detentiva”. Via: tiscali

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Written by Laura Rossi

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One Comment

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  1. Il pensiero che una cellula importante del terrorismo islamico, conviva con migliaia di ignari cittadini e proprio nella mia citta’ e’ agghiacciante…
    Accanto a noi vivono pericolosi terroristi, insospettabili, extracomunitari perfettamente integrati che apparentemente vivono in modo onesto, del loro lavoro di bottegai….hanno bigiotteria e vestitini che richiamano la danza del ventre, e fino a oggi per noi erano solo questo!
    Abbiamo come vicini di casa dei nemici, pronti a farci saltare in aria in nome di una ideologia fanatica, che si nasconde dietro alla Religione.

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